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Retelit non solo. Che cosa (non) ha detto Conte su Mincione e Vaticano

Tutti i dettagli e gli approfondimenti sulle parole del presidente del Consiglio, Giuseppe Conte, sul caso Retelit-golden power nella sua informativa alla Camera il 5 novembre

 

Confida di “chiarire in maniera definitiva”, Giuseppe Conte. Nell’aula di Montecitorio infila date, riprende quanto già replicato da lui o dal suo ufficio stampa nelle scorse settimane e mesi sul presunto conflitto di interesse nei dossier Fiber e Retelit. È passato un anno e mezzo da quando i giornali hanno cominciato a scrivere della vicenda. Il premier martedì sera ha replicato in una sede istituzionale. Ma la sua fiducia per un chiarimento definitivo forse difetta per eccessivo ottimismo.

Che Conte non sia inciampato in un conflitto di interesse lo ha chiarito l’Antitrust. Che Conte, esponente del governo gialloverde prima, giallorosso oggi, con la costante del sostegno dei molto attenti alle questioni etiche Cinquestelle, è faccenda che rimane non solo sullo sfondo.

Quanto riferito dal premier in Aula poco aggiunge a quanto già dichiarato dall’avvocato. Più interessanti alcuni passaggi della cronologia.

Tutto inizia il 27 aprile 2018. Si riunisce l’assemblea dei soci di Retelit, società di tlc che gestisce più di 12mila chilometri di fibra ottica. Di Retelit è socio Raffaele Mincione tramite Fiber 4.0. Investitore in Fiber 4.0 è il fondo Athena Global Opportunities, finanziato interamente per 200 milioni dalla Segreteria di Stato vaticana. I contatti di Mincione oltre le Mura risalgono al 2012. Scopo: acquisto di un palazzo a Londra. È in seguito emerso che i palazzi sarebbero due. Certo è che – lo ha rivelato al Corriere della Sera lo stesso Mincione – quel denaro non è servito solo per il mattone, ma anche per le scalate del finanziere italo-londinese a Carige, Retelit e Tas.

E qui cominciano gli intrecci. Anzi. Ce ne sono altri: Conte ha rapporti col Vaticano fin da giovane, almeno tramite Villa Nazareth, il collegio universitario di eccellenza guidato fino a qualche mese fa dal cardinale Achille Silvestrini. Tutti rapporti legittimi, per carità. Eppure sufficienti a destare curiosità ed eccitare le narrazioni.

Torniamo ad aprile 2018. Dopo l’assemblea dei soci di Retelit, Fiber chiede un parere ad uno dei principali studi legali del Paese. È il Gop – Gianni, Origoni, Grippo, Cappelli & Partners.

Gop il 9 maggio presenta un memorandum – lo ha pubblicato Libero. Vi si argomenta che la società detiene “assets strategici nel settore delle comunicazioni”. Se ne deduce: si può giocare la carta golden power. Ma a Fiber 4.0 evidentemente non basta. Così chiede all’avvocato Conte un parere pro veritate.

Chi si è rivolto direttamente al professionista? Il premier di oggi ha più volte dichiarato di non avere mai incontrato Mincione né altri amministratori e investitori di Fiber. Lo ha ripetuto martedì alla Camera, aggiungendo: “Non ero a conoscenza che parte degli investimenti facessero riferimento alle finanze vaticane”. Ma ovviamente qualcuno da Fiber gli commissiona la consulenza e gli fornisce i documenti di lavoro.

L’allora semplice avvocato studia, e redige il parere che non dice molto di differente da quello già redatto da Gop. Lo presenta il 14 maggio. La sera prima, in un albergo di Milano, Giuseppe Conte aveva incontrato i leader di Lega e Cinquestelle.

Salvini e Di Maio stanno sondando la possibilità di farlo premier. Anzi, di promuoverlo. Perché di un Conte ministro in pectore dei 5s si parlava pubblicamente fin da marzo. Poche settimane prima l’assemblea dei soci di Retelit. Nell’hotel meneghino, Conte viene promosso in poco più di trenta minuti da ministro a primo ministro in pectore del nascente governo.

A Fiber ignoravano le indiscrezioni che già da marzo circolavano di un ruolo nel nuovo esecutivo dell’avvocato Conte?

Chi ha messo in contatto Conte con Fiber? Nel vasto curriculum del premier, spunta anche l’esercizio della libera professione in un grande studio. Quale? Il Gop, che a maggio 2018 aveva redatto un parere proprio per Fiber.

Dal 2002, inoltre, Conte apre studio nello stesso palazzo dello studio di Guido Alpa, suo maestro all’università. I due dicono che era solo un modo per risparmiare sulle spese. Insomma: erano coinquilini e gestivano l’attività professionale in maniera distinta. Non c’è ragione di dubitare.

Almeno come curiosità, non è pleonastico ricordare che i rapporti di Alpa con un’altra passione di Mincione, Carige, sono antichi: sedeva nel Cda dell’istituto dal 2009 al 2013; poi in quello della Fondazione. Ed è stato legale di Mincione, che ha tentato di conquistare la banca genovese. Dice Alpa: “Fino a poche settimane precedenti l’assemblea di Carige (il 20 settembre 2018, ndr) non conoscevo Mincione, non l’avevo mai incontrato né avevo avuto modo di interessarmi alle sue attività”. Il finanziere gli chiede assistenza legale. Prosegue Alpa: “Lo aiutai, sia in giudizio, sia nel corso dell’assemblea stessa”. Poi più nessun rapporto. A settembre 2018 Conte era premier da quattro mesi. Fu Alpa a presentare il suo ex allievo al finanziere? Le date non coincidono. La pista è sbagliata. Conte lavora per Fiber a maggio. Ma Conte anni prima aveva lavorato nello studio Gop al quale Fiber si era rivolta per un parere.

Riassumendo: il 9 maggio Gop redige un memorandum, negli stessi giorni (la data esatta ci sfugge) Fiber chiede un parere all’avvocato Conte, già da marzo in odore di un ruolo di governo. Almeno come ministro. Il 13 maggio Giuseppe da Volturara incontra i leader di Lega e 5s a Milano. Da ministro diventa nome da premier in pectore. Il giorno dopo Conte invia il suo parere a Fiber. Il 29 maggio, ormai designato primo ministro per i gialloverdi, firma fattura: 15mila euro netti.

Ancora pochi giorni. Il 7 giugno il Consiglio dei ministri dà il via libera al golden power. Presiede il vicepremier Matteo Salvini. Conte non c’è. Spiega: avevo chiarito al segretario generale che per evitare anche solo l’ombra di un possibile conflitto di interesse, non avrei preso parte a nessuna azione che riguardasse Retelit. Chapeau. In Aula il deputato forzista Mulé gli ha però ricordato che il 7 giugno il premier non ha partecipato al Cdm, certo, ma non era in una stanza di Palazzo Chigi. Era in volo per il Canada, dove era atteso per il G7. Appuntamento fissato con anticipo. Perché non rendere nota agli italiani quella comunicazione al segretario generale per sgomberare il campo da possibili equivoci? Di possibile conflitto di interessi Repubblica aveva scritto già a fine maggio.

E ancora. Il tema Retelit è tornato all’attenzione del Cdm per un procedimento sanzionatorio. Era l’agosto 2018. Anche qui Conte si astiene da qualsiasi intervento. E anche qui la decisione è comunicata al segretario generale. L’avvocato del popolo non ha ritenuto di informare pubblicamente il popolo.

E ancora. Perché a sollecitare l’Autorità garante della concorrenza e del mercato non è stato lo stesso Conte, ma il Partito democratico e poi il Codacons nel gennaio scorso? L’Authority lo ha “assolto”, ma non sarebbe stato un gesto più elegante per il premier chiedere di farsi valutare anziché aspettare le iniziative dell’allora opposizione e di un’associazione dei consumatori?

Non c’è nulla di illecito nella vicenda. Ma il comportamento del premier pentastellato non poteva essere più trasparente fin da subito? Che un libero professionista eserciti attività a favore di società private e poi, cambiando i tempi, diventi esponente di governo, è legittimo – lo dice la legge – e pazienza se i Cinquestelle ai tempi spingevano per norme più restrittive. Oggi per loro è tutto ok.
Che però a Conte si domandi la massima trasparenza pare altrettanto legittimo.

Quindi. Al di là di un preteso “definitivo chiarimento”, al premier possono ancora essere rivolte domande?

Giulio Centemero, della Lega, a Montecitorio ne ha elencate alcune. Ne riportiamo una sintesi. Perché Conte ha chiamato l’avvocato D’Angelo, legale di Carige, durante l’assemblea dell’istituto? Non è un comportamento inusuale da parte di un presidente del Consiglio? Perché afferma che quando firmò il parere legale per Fiber non si aspettava di finire di li a pochi giorni a Palazzo Chigi? Prima del 14 maggio aveva avuto contatti coi leader dei due partiti di maggioranza?

Arricciamento interrogativo anche da Giorgio Mulé, Forza Italia: Conte riceve l’incarico esplorativo dal Capo dello Stato il 23 maggio. Repubblica scrive di un possibile conflitto di interessi: “Perché non ha segnalato subito all’Antitrust?”.

Aggiungiamo: in quei giorni di primavera, prima del giuramento, ne parlò con Sergio Mattarella?

C’è una tela di relazioni dove Conte entra in contatto con il finanziere Mincione che sarebbe interessante approfondire. Un finanziere a guida di un impero immobiliare-finanziario che raramente prima delle scalate bancarie aveva avuto l’onore delle gazzette. Dato il core business delle sue attività, sa di intelligente fiuto per la discrezione. Eppure, non tra i primi nomi, nel 2012 viene contattato dal Vaticano. Nel 2018 si rivolge a un avvocato-giurista ai tempi sconosciuto ai più, che nel giro di poche settimane diventa capo del governo. Mincione ha sguardo fino. E fa i suoi affari. Il Vaticano è uno stato estero. Come e dove investe, non riguarda il punto.

Conte invece fa politica. Qualcosina in più, forse, la dovrebbe come inquilino di Palazzo Chigi? Intanto le sue comunicazioni in Aula hanno scatenato la reazione di Cinquestelle e Partito democratico. Hanno elogiato il senso delle istituzioni del premier che ha riferito alla Camera, per attaccare Matteo Salvini di essere “scappato dal confronto parlamentare” quando era ministro dell’Interno. Proprio i Cinquestelle, che della giustizia hanno stressato concetto e pratica, fino spesso a sconfinare nel campo del giustizialismo. Proprio il Pd che, fino a qualche mese fa, dai banchi dell’opposizione, puntava il dito contro Conte, e che su Conte chiedeva chiarimenti per illuminare ombre intorno a presunti conflitti di interesse.

È passato un anno e mezzo. Sembrano secoli.

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