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Lidington

Vi spiego le mosse del Regno Unito nell’Est Europa. Parla Lidington

L'intervista di Daniele Meloni a David Lidington, già ministro degli Affari europei sotto Cameron e oggi a capo del RUSI, il principale think tank britannico sulla difesa e la sicurezza.

 

È stato il Ministro per gli Affari Europei più longevo della storia del Regno Unito – oltre 6 anni con David Cameron – e nel successivo governo guidato da Theresa May ha ricoperto il ruolo di Minister for the Cabinet Office, diventando il numero 2 de facto del governo UK. Ora, dopo avere rinunciato alla candidatura nel 2019 per il partito Conservatore, Sir David Lidington guida la Royal United Services Institute (RUSI), il principale think tank britannico sulla difesa e la sicurezza nazionali e internazionali, ed è nel board dell’Institute for Government.

L’attivismo del governo Johnson sulla crisi russo-ucraina ha riproposto la questione sul ruolo del Regno Unito in Europa e sul palcoscenico internazionale dopo la Brexit. Il ministro degli Esteri del governo Tory, Liz Truss, e quello della Difesa, Ben Wallace, stanno viaggiando nell’est Europa senza sosta in quella che sembra una Ostpolitik in salsa inglese.

Sir Lidington, cosa è cambiato negli ultimi anni nell’est europeo, così da rendere quella zona del continente sempre di maggior interesse per il Regno Unito?

Due cose sono cambiate, principalmente. La prima è la postura della Russia, sempre meno convinta partecipante del sistema internazionale e sempre più assertiva nelle sue rivendicazioni. Lo abbiamo visto in Georgia nel 2008 e poi nel Donbass e in Crimea. Di fronte a questo cambiamento nella strategia di Mosca, i paesi confinanti hanno reagito avvicinandosi all’Occidente e chiedendo una maggiore protezione in termini militari e di sicurezza. Così i paesi Baltici sono entrati nella Nato e l’Ucraina vi ha chiesto l’adesione. Per il Regno Unito le cose sono cambiate dopo la Brexit. Quei paesi – cui aggiungerei la Polonia, che è il più grande dell’area per dimensioni – non possono fidarsi dell’Europa per la loro difesa. Primo perché non esiste una difesa comune europea. Secondo, perché tra i paesi europei ci sono divergenze su come trattare con Mosca. In quel cuneo si è inserito il Regno Unito.

Nella primavera scorsa il governo Johnson ha presentato il nuovo documento base per la nuova strategia di politica estera, di difesa e sicurezza del Regno Unito, la Integrated Review. Qual è la sua valutazione dell’annuncio riguardo all’aumento delle testate nucleari da 180 fino a un massimo di 260 da qui al 2025?

La spiegazione è data dal mutato contesto internazionale, anche riguardo agli accordi sul nucleare tra le potenze. La Russia ha più volte ribadito che intende fare un uso strategico del suo arsenale nucleare e questo cambia, evidentemente, la partita. L’analisi dei nuovi rischi portati da Mosca, e una nuova ridefinizione del concetto di sicurezza, hanno portato il Cabinet ad aumentare le spese nel budget per la difesa, che cresceranno di 24 miliardi di sterline da qui alla fine della legislatura.

Che idea si è fatto nel complesso della Global Britain?

La Integrated Review è un buon documento. Analizza con realismo e pragmatismo il nuovo contesto internazionale e attribuisce un nuovo ruolo al Regno Unito post Brexit. L’Indo-Pacifico è la regione dove la contesa tra la Cina e gli Usa è più calda, ed è giusto che lo UK voglia presidiare quell’area. Allo stesso modo non bisogna dimenticare la dipendenza tecnologica dalla Cina, in particolare quella europea. Se però dovessi muovere una critica alla review è che risente troppo della lacerazione tra Londra e Bruxelles causata dalla Brexit. In un documento così ampio la parte dedicata all’Europa è minima ed è difficile parlare di Global Britain senza occuparsi per prima cosa del buon vicinato. La Global Britain deve partire da una European Britain, fuori dall’Unione Europea ma in rapporto stretto e costante con essa.

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