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Emerson

Ralph Waldo Emerson e la frontiera americana

Il Bloc Notes di Michele Magno

Ralph Waldo Emerson (1803-1882), è considerato il padre del “trascendentalismo”, un movimento filosofico fiorito a Boston. La pubblicazione di “Nature” (1836), manifesto del movimento, e le innumerevoli conferenze tenute nei Lyceums (simili agli odierni club letterari) gli avevano procurato una vasta popolarità negli ambienti borghesi del New England. Una regione che nella prima metà dell’Ottocento è teatro di una congiuntura culturale straordinaria, la quale ha come suoi protagonisti -per ricordare i più universalmente noti- Herman Melville, Walt Withman, Nathaniel Hawthorne, Emily Dickinson. La Nuova Inghilterra diventa così il cuore intellettuale degli Stati Uniti, ossia di una nazione il cui passato era ancora quasi un foglio bianco; e che quindi doveva progettare se stessa, i suoi confini, la sua posizione nel mondo.

La voce di Emerson si inserisce in questo contesto con un suono dissonante, dai più interpretato come un frettoloso tentativo di rilanciare un idealismo che in Germania aveva ormai fatto il suo tempo. Al contrario, sebbene il trascendentalismo americano -in parte debitore dello spiritualismo di Emanuel Swedenborg (1688-1772)- fosse sorto soprattutto sulla spinta del romanticismo inglese e dell’idealismo tedesco, esso si configurava come una risposta a una questione sociale e politica senza precedenti. Frederick J. Turner, nel suo ormai classico studio sul significato della frontiera nella storia americana, osserva come i valori, le istituzioni, i costumi europei vengano progressivamente modificati fino a diventare qualcosa di totalmente altro: “Questa rinascita perenne, questa fluidità della vita americana, questa espansione verso l’Ovest con tutta la sua gamma di infinite possibilità, il suo contatto continuo con la semplicità della società primitiva, alimentano e forniscono le forze che dominano il carattere degli americani. L’avanzata della frontiera ha significato un movimento regolare che si allontanava sempre più dall’influsso dell’Europa, uno sviluppo costante di indipendenza su linee prettamente americane” (“La frontiera nella storia americana”, il Mulino, 1967).

Pur ammirando Goethe e Friedrich Schiller, Emerson cantava dunque le virtù dell’intraprendenza e dell’iniziativa individuale, consacrate dalla lotta per la conquista della frontiera. Nei suoi saggi si rispecchiava la speranza in un futuro benevolo che animava i coloni del Nuovo Mondo, dove l’inesauribile riserva di risorse naturali prometteva prosperità e felicità. Come conferenziere e intellettuale militante, celebrava l’individualismo delle selvagge pianure poste a occidente, dove non vi era società ma soltanto l’uomo singolo di fronte alla natura, e ravvisava nel suo bisogno di autogovernarsi non un pericolo per l’ordine costituito, ma la vera forza degli Usa. Professando l’assoluta sovranità dell’individuo, Emerson era coerentemente un inflessibile fustigatore di ogni forma di schiavitù e di subordinazione. E non si stancava di ammonire i suoi concittadini sui rischi derivanti dal dilagante conformismo di massa, che metteva a repentaglio la “self-reliance”, ovvero la fiducia in se stessi e la costante aspirazione al perfezionamento morale dell’individuo.

Come ha sottolineato Benedetta Zavatta in un pregevole paper universitario (Urbino,2005), Emerson ha offerto alla riflessione di Nietzsche stimoli del tutto inediti rispetto ai canoni tradizionali del pensiero europeo. Peculiare al trascendentalismo americano, infatti, è una concezione del sublime in cui la potenza della natura non viene avvertita come sfida o umiliazione. Nella vastità delle pianure sulle sponde del Pacifico, nell’imponenza dei massicci rocciosi, Emerson vedeva prefigurato il destino radioso che attendeva il popolo americano. L’esortazione che egli rivolge ai suoi contemporanei è quindi di cercare Dio non nelle Scritture, ma nella magnificenza della natura. Un punto pienamente condiviso da Nietzsche. Infatti, anche per l’autore della “Gaia scienza” la dignità umana non consisteva nel dichiarare una presunta superiorità della ragione -come accade nel sublime kantiano o nella celebre immagine della “canna pensante” di Pascal- ma unicamente nel riconoscersene parte. Lo studioso della Yale University Harold Bloom ha chiamato questa concezione “panfusionismo”, proprio per ribadirne la diversità rispetto al sentimento del sublime elaborato in ambito europeo.

La casa di Emerson, a Concord, era frequentata da poeti, abolizionisti, femministe, pastori in rotta con la chiesa unitariana (confessione che negava l’incarnazione e la divinità di Gesù). In un clima che mimava i salotti europei del Settecento, si leggevano e venivano commentati Socrate, Eraclito, Pitagora, Agostino, Cicerone, Shakespeare, Mme de Staël. Il cenacolo dei trascendentalisti si era dotato di una rivista, “The Dial” (Il quadrante). Alcuni di loro -Margaret Fuller, Bronson Alcott, Sophia e George Ripley- si mettono a vagheggiare una comunità di “persone colte, intelligenti e liberali, alternativa alle pressioni di un sistema sempre più competitivo”. Una comunità nella quale ognuno avrebbe potuto scegliersi un lavoro secondo le proprie inclinazioni e il proprio talento. Nonostante la diffidenza e la freddezza del maestro, la villa di Alcott accoglie dal 1841 al 1847 folle di curiosi che partecipano ai seminari in cui la nuova utopia viene illustrata e discussa. Il suo successo è enorme, e nei più fanatici  provoca  un’eccitazione che rasenta il delirio.

A Boston, Margaret Fuller organizza dei “tè trascendentali” e, in un soggiorno parigino del 1846, ne parlerà con George Sand e Frédéric Chopin. Louisa May Alcott, la moglie di Bronson, descrive con sarcasmo gli “Hegel in canottiera” che girano con un cartello appeso al collo in cui c’è scritto: “Non date e non accettate mai denaro”. Sotto l’impulso di George Ripley, i trascendentalisti riescono a fondare Fruitland, una sorta di falansterio fourierista. In nome della polis ideale di Platone, rifiutano la proprietà, la carne, gli alcolici, il tabacco, la medicina, il commercio, le arti, lo stato, la famiglia. Concepita come risposta alla presunta fiacchezza mercantile della nascente civiltà industriale, nel marzo 1846 Fruitland viene rasa al suolo da un incendio mentre i suoi ignari abitanti danzavano allegramente nella sala da ballo. Hawthorne non si riprenderà più dal suo coinvolgimento in questa follia.

 

 

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