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Quirinale, Mattarella e la grancassa mediatica

Il corsivo di Teo Dalavecuras.

 

“Tutto è bene ciò che finisce bene”. Con questo messaggio, in sostanza, i premurosi operatori dell’informazione hanno salutato, la sera di sabato 29 gennaio (primo “giorno della merla” a Milano) la rielezione quasi plebiscitaria di Sergio Mattarella al vertice dello Stato italiano.

Non sarò certo io a dissociarmi dal corale entusiasmo. Mi permetto solo di dubitare che su questo finale, che pure ha eccitato almeno alcuni conduttori delle interminabili trasmissioni tv, si fosse potuto nutrire, prima dell’esito finale, qualche incertezza.

Certo, l’uomo della strada è indotto a farsi una domanda: visto che Mattarella è stato rieletto con una maggioranza di oltre il 75%, di gran lunga più ampia di quella di due terzi richiesta nelle prime tre votazioni, e visto che non è pensabile che una simile maggioranza non può essere caduta dal cielo nel corso della settimana, perché si è dovuto o voluto aspettare l’ottavo scrutinio?

In realtà è una domanda sciocca: è ben noto che per raggiungere il punto di accordo che entrambe conoscono benissimo prima ancora di cominciare, le parti “contraenti” devono partire da posizioni molto lontane e prestarsi al rito di avvicinamento che si usa chiamare “trattativa”. È una regola della vita, delle dinamiche interpersonali e collettive alle quali nessuno si può sottrarre, così come nessuna persona assennata può sottovalutare l’importanza dei riti nella vita individuale e di gruppo.

C’è modo e modo, però. Forse, la settimana scorsa, i pur volonterosi e benintenzionati media avrebbero potuto risparmiarsi il quotidiano sforzo di alimentare un’artificiosa atmosfera di “suspence” su una vicenda che da un lato dubito fortemente appassionasse il “popolo”, dall’altro appariva scontata nell’esito finale non tanto per l’andamento delle prime votazioni quanto per i dati della situazione generale. Un qualche senso della misura al posto dell’eccesso di zelo mostrato da quasi tutte le testate (onore, professionalmente parlando, a la Verità di Maurizio Belpietro che ha saputo differenziarsi) avrebbe se non altro risparmiato lo stress quotidiano dei titolisti, costretti a inventarsi titoli sensazionalisti per una vicenda che di sensazionale non ha avuto proprio nulla. Insomma, il cerimoniale della trattativa lo si sarebbe potuto lasciare ai diretti interessati, riferendone mosse e mossette con un minimo di sobrietà, senza parteciparvi con un trasporto che non aveva niente di genuino, e mostrava solo, una volta di più, la scarsissima opinione che gli uomini dei media hanno del loro pubblico (opinione fatalmente ricambiata).

Almeno un’attenuante al mondo dei media va però riconosciuta: anche gli scenografi del Quirinale si sono lasciati prendere la mano. Quando hanno cominciato a far circolare le immagini degli scatoloni dell’imminente “trasloco” di Mattarella alla scadenza del settennato, dopo che erano “filtrati” dettagli sull’affitto di un appartamento ai Parioli, gli addetti all’informazione e all’intrattenimento hanno dovuto prendere atto che non spirava aria di low profile: era il momento di rispolverare la grancassa, compresi i tamburi di latta, per non indispettire protagonisti e comprimari dello show che stava per andare in scena.

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