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Qual è la posizione dell’Italia sulle tensioni fra Turchia e Grecia?

Le mosse della Turchia, le contromosse della Grecia, l'intervento della Francia. E l'Italia? L'approfondimento di Giuseppe Gagliano con l'analisi di Dario Fabbri di Limes

 

Si è più volte sottolineato su Start Magazine la politica di proiezione di potenza della Turchia, soprattutto in relazione alla questione libica. Per questa ragione non deve destare alcuna sorpresa la dichiarazione del ministro della Difesa turco, Hulusi Akar, che ha sottolineato come Ankara sia determinata a proteggere i suoi diritti e suoi interessi.

Non a caso la Marina turca ha posto in essere esercitazioni militari di natura dissuasiva nei pressi delle isole greche. Non solo: Ankara ha ripreso le attività di esplorazione di idrocarburi nei pressi delle isole greche poco distanti dalle coste turche.

Comprensibile la reazione della Grecia: ad Atene si è infatti riunito il Consiglio nazionale greco per la difesa presieduto dal ministro della Difesa Nikos Panagiotopoulos, insieme al vice ministro delle Difesa, Alkibiadis Stefanis, e ai Capi di stato maggiore. Inequivocabile il messaggio lanciato dal Consiglio: la Grecia non solo non accetterà un fatto compiuto nel Mediterraneo orientale ma difenderà la sua integrità territoriale e i suoi diritti sovrani.

E l’Italia? Fin troppo evidente appare la sua impotenza politica e militare, non solo sullo scacchiere libico. Dopo aver contribuito alla dissoluzione della ex Jugoslavia a vantaggio degli americani, dei tedeschi, dei russi e dei turchi, l’Italia ha contribuito a perdere anche influenza sulla sua ex colonia libica e si trova oggi nella situazione di essere un vaso di coccio tra vasi di ferro come la Turchia e l’Egitto.

Priva di qualunque strategia su medio-lungo termine e soprattutto priva di uno sguardo geopolitico disincantato, il nostro Paese non è stato in grado di comprendere l’importanza di conseguire un perimetro difensivo come la Francia o come l’Inghilterra, perimetro difensivo necessario per respingere eventuali offensive militari.

A maggior ragione il nostro Paese ha rifiutato qualunque tipo di proiezione di potenza regionale come stanno invece facendo la Francia e la Turchia. D’altronde, durante la guerra del 2011, nel contesto della coalizione Nato, l’Italia non aveva forse autorizzato l’uso delle proprie infrastrutture militari proprio per bombardare la Libia di Gheddafi?

Eppure nel 2008 l’Italia, grazie all’intesa proprio con Gheddafi, aveva assunto un ruolo di rilievo sullo scacchiere libico con buona pace della Francia (e della Total).

Ma queste scelte scellerate sul piano della politica estera non dipenderanno anche dalla assoluta mancanza da parte dell’Italia di usare lo strumento militare come strumento legittimo per difendere i propri interessi? Proprio a tale riguardo – sia Lucio Caracciolo, sia Dario Fabbri su Limes che Carlo Jean su Startmag – hanno più volte sottolineato come tale indisponibilità stia recando vantaggio soltanto alla Turchia e in seconda battuta all’Egitto. Infatti sia la Turchia che l’Egitto ci hanno ormai estromesso dallo scacchiere libico.

Come opportunamente sottolineato da Dario Fabbri su Limes, “Imporsi sulla storia significa lanciarsi nel fuoco, segnalare agli altri un’invalicabile linea rossa, sopportare gli effetti collaterali dell’eventuale offensiva, mettere in conto numerosi momenti di disperazione. Condotta aliena al nostro sentire. Attempata ed economicistica, la popolazione italiana è genuinamente persuasa che la storia sia finita, che non vi sia nulla per cui rischiare tutto, che esista soltanto il tornaconto materiale. Non rinuncerebbe mai alla dolcezza della vita per conquistare una maggiore rilevanza internazionale. Né accetterebbe di crepare in battaglia per aumentare la propria sicurezza – in caso invocherebbe l’impossibile aiuto delle organizzazioni internazionali. Il massimalismo geopolitico è espunto dal discorso pubblico, escluso dai programmi governativi – nell’illusione che la politica estera sia informata dalla convenienza finanziaria. Mentre ogni grande impresa impone sofferenze, restrizioni, dolori. Quanto sperimentano quotidianamente le principali potenze del pianeta – dagli Stati Uniti alla Russia, dalla Cina alla Turchia”.

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