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Petrolio russo e microchip di Nvidia: di cosa non hanno parlato Trump e Xi

Nonostante i progressi sui dazi, le terre rare e la soia, l'incontro tra Trump e Xi non ha prodotto risultati per quanto riguarda il commercio dei microchip di Nvidia e gli acquisti di petrolio e gas russi. Ecco cosa sappiamo.

L’incontro tra Donald Trump e Xi Jinping in Corea del sud ha portato essenzialmente a tre risultati: al dimezzamento, dal 20 al 10 per cento, dei dazi statunitensi sulla Cina legati al traffico di fentanyl; alla ripresa degli acquisti di soia americana da parte di Pechino; alla sospensione, per un anno, di alcune restrizioni cinesi al commercio di terre rare (nello specifico, delle misure annunciate il 9 ottobre scorso).

Non tutti i nodi tra i due paesi sono stati sciolti, però: per esempio, Trump e Xi non hanno discusso né degli acquisti di petrolio russo, né delle vendite dell’ultima serie di microchip di Nvidia, chiamata Blackwell.

LA QUESTIONE DEI CHIP BLACKWELL DI NVIDIA

Trump, in realtà, ha spiegato di aver parlato con Xi in termini generali dell’accesso della Cina ai processori di Nvidia, precisando però che spetterà alle autorità di Pechino proseguire il dialogo direttamente con l’azienda. “Abbiamo discusso di chip”, ha detto il presidente ai giornalisti a bordo dell’Air Force One. “Parleranno [i cinesi, ndr] con Nvidia e altri fornitori per l’acquisto dei chip. Non abbiamo parlato dei Blackwell”.

Nvidia non è autorizzata a vendere i suoi processori avanzati in Cina per via dei controlli sulle esportazioni applicati dal governo degli Stati Uniti: Washington vuole impedire a Pechino di accedere ai microchip più performanti e, di conseguenza, di sviluppare capacità di intelligenza artificiale e di supercomputing utilizzabili anche in contesti militari. Da parte sua, la Cina ha iniziato a scoraggiare le proprie società tecnologiche dall’utilizzare i semiconduttori di Nvidia, spingendole invece a preferire i dispositivi di produzione nazionale, che però al momento non offrono prestazioni paragonabili a quelli della società californiana.

Rispetto alla serie precedente, nota come Hopper, i processori Blackwell modello B200 di Nvidia sono trenta volte più veloci, permettendo così di “accelerare” il progresso dei modelli di intelligenza artificiale. Poco più di un anno fa Reuters aveva rivelato che Nvidia stava lavorando a un chip serie Blackwell chiamato B20, meno potente del B200 e compatibile con le restrizioni americane sulla Cina, un mercato importantissimo data la sua vastità.

Prima della smentita, comunque, Trump aveva detto che avrebbe discusso con Xi dei microchip Blackwell, facendo immaginare una svolta nella strategia americana di contenimento tecnologico della rivale: sarebbe stata una vittoria enorme non solo per Pechino ma anche per Nvidia, che desidererebbe più libertà commerciale (e che recentemente ha raggiunto, per prima, una capitalizzazione di mercato di 5000 miliardi di dollari).

Secondo l’amministratore delegato Jensen Huang, peraltro, i controlli sulle esportazioni sono dannosi per la supremazia tecnologica degli Stati Uniti perché rappresentano un incentivo per la Cina a insistere nel raggiungimento dell’indipendenza.

TRUMP E XI NON HANNO PARLATO NEMMENO DI PETROLIO RUSSO

Nonostante le pressioni dell’Ucraina e degli alleati, Trump ha detto di non aver discusso con Xi degli idrocarburi russi, di cui la Cina è una delle maggiori acquirenti al mondo, contribuendo così – seppur indirettamente – al finanziamento della guerra di aggressione del Cremlino. Proprio per bloccare la compravendita di petrolio e gas russi, nei giorni scorsi l’amministrazione Trump ha imposto sanzioni sulle due principali società petrolifere della Russia, Rosneft e Lukoil, e sulle loro sussidiarie.

Dopo la riunione con Xi, tuttavia, Trump ha scritto sul suo social network Truth che la Cina potrebbe comprare grandi volumi di idrocarburi dall’Alaska, senza però fornire dettagli. “La Cina”, ha spiegato, “ha anche accettato di avviare il processo di acquisto di energia americana. Infatti, potrebbe essere conclusa una transazione su larga scala relativa all’acquisto di petrolio e gas dallo stato dell’Alaska. Chris Wright, Doug Burgum e i nostri rispettivi team energetici si incontreranno per valutare la possibilità di concludere tale accordo energetico”.

La Cina è la singola maggiore importatrice di petrolio russo. Nonostante il governo non riconosca le sanzioni americane, le grandi compagnie energetiche del paese temono che, se proseguiranno con gli acquisti, perderanno l’accesso ai mercati finanziari internazionali, dove il dollaro è la valuta dominante.

Per aumentare la pressione su Pechino e aggravare l’isolamento economico di Mosca, Washington potrebbe decidere di colpire le banche cinesi che gestiscono le transazioni sugli idrocarburi russi, ma anche le società cinesi di trading che li commerciano e le compagnie di raffinazione che li trasformano. Si tratta di mosse rischiose, però, perché la Cina potrebbe rispondervi con ulteriori restrizioni al commercio di terre rare, di cui domina le filiere, oppure con nuove interruzioni agli acquisti di soia americana.

I prezzi del petrolio, intanto, sono in calo. Il Brent, cioè il contratto basato sul mare del Nord, è sceso a 64,6 dollari al barile; mentre il West Texas Intermediate, ossia il riferimento statunitense, a 60,1 dollari.

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