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Caso Barrack

Perché Trump strattona la Turchia di Erdogan sugli F-35

Tutte le tensioni fra gli Stati Uniti di Trump e la Turchia di Erdogan sugli F-35. L'approfondimento di Marco Orioles

L’ultimo monito degli Usa alla Turchia e al suo presidente Recep Tayyip Erdogan arriva sotto la forma di un ultimatum lanciato attraverso alcune fonti di governo sentite anonimamente da CNBC. Ankara, è il messaggio tagliente che parte da Washington, è chiamata a cancellare senza indugi l’accordo con la Russia per la fornitura del sistema di difesa anti-aerea S-400, che secondo gli americani è incompatibile con i sistemi d’arma in uso alla Nato e, in particolare, con gli F-35.

La Turchia è esortata in particolare ad acquistare, al posto degli S-400, il sistema Patriot fabbricato negli Usa dalla Raytheon. E deve decidersi subito: la deadline per dire sì o no è fissata dalle fonti in questione alla prima settimana di giugno (che, tutt’altro che incidentalmente, è anche il mese in cui è prevista la consegna degli S-400).

Se Ankara non si conformasse, precisano le fonti, ci saranno almeno due conseguenze. La prima è l’esclusione dal programma Joint Strike Fighter, inclusa la cancellazione della consegna programmata di cento esemplari del caccia Lockheed Martin. A tale provvedimento si affiancherebbe, poi, l’imposizione di sanzioni sulla base dell’America’s Adversaries Through Sanctions Act (CAATSA).

Non lasciano molti margini all’interpretazione le parole con cui un funzionario del Dipartimento di Stato, citato sempre dalla CNBC, ha reiterato la posizione dell’amministrazione Trump: “I paesi Nato devono acquisire equipaggiamento militare che sia interoperabile con i sistemi Nato. Un sistema russo non rispetterebbe quello standard”. “Sottolineiamo”, ha aggiunto minacciosamente il funzionario, “che la Turchia affronterà conseguenze reali e negative qualora si completasse la consegna degli S-400”.

Ma il presidente turco non sembra affatto intenzionato a obbedire al diktat. “È assolutamente fuori discussione”, ha affermato Erdogan sabato scorso, che la Turchia “faccia un passo indietro dall’acquisto degli S-400. Quello è un affare concluso”. Non solo: Ankara, ha annunciato il capo dell’AKP, produrrà con Mosca il nuovo sistema S-500.

La Turchia, dunque, tira diritto e si prepara ad affrontare l’ira di Washington. Ne sono una riprova le affermazioni con cui il ministro della Difesa turco Hulusi Akar, lo scorso martedì, ha sottolineato che il suo governo è praticamente rassegnato alle sanzioni americane.

Per Akar, la reazione americana è comunque esagerata e incomprensibile, perché – dice, ribadendo la posizione più volte sostenuta dalla Turchia – l’acquisto degli S-400 è puramente a scopi difensivi e non pone alcuna minaccia agli Usa.

Akar intravede in verità – sulla base di cosa non è dato sapere – un miglioramento nelle relazioni con l’alleato d’oltreoceano. “Nei nostri colloqui con gli Stati Uniti”, ha affermato, “noi riscontriamo un’attenuazione (delle posizioni originarie) e una riconciliazione su temi che includono l’est dell’Eufrate (in Siria), gli F-35 e i Patriot”.

Secondo il ministro, inoltre, non c’è “alcuna clausola nell’accordo sugli F-35 che dica che uno sarà escluso dalla partnership per aver acquistato gli S-400. La Turchia”, ha ricordato Akar, “ha pagato 1,2 miliardi di dollari. Abbiamo anche prodotto in tempo le parti ordinate a noi. Cosa possiamo fare in più come partner?”. Ecco perché il ministro si aspetta che la partecipazione della Turchia al programma JSF vada avanti.

Peccato che, a Washington, non sembri esserci nessuno pronto a manifestare indulgenza. La portavoce del Dipartimento di Stato Morgan Ortagus ha chiarito, al contrario, che l’America non è affatto intenzionata a transigere.

“Abbiamo chiaramente il desiderio”, ha dichiarato Ortagus alla stampa, “di coinvolgerli (i turchi) e abbiamo continuato a informarli della nostra preoccupazione per questa acquisizione, ma ci saranno conseguenze reali e negative se ciò accadrà”.

(estratto di un articolo di policymakermag.it, qui la versione integrale)
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