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Perché Salvini ha staccato la spina al governo Conte 1? Tre indizi. Il post di Sacchi

Il post di Paola Sacchi, già inviata di politica a L'Unità e a Panorama

 

Ma qual è stata davvero la molla decisiva, quella finale, che ha fatto scattare in Matteo Salvini la determinazione di staccare la spina al governo? Resterà probabilmente per un bel po’, se non per sempre, il giallo politico del Ferragosto 2019.

Secondo Agatha Christie tre indizi fanno una prova. Ora in questo caso di prove non ci sono e come avviene spesso in politica non se ne troveranno mai, si andrà avanti anche su questo caso sui soliti sospetti più o meno fondati.

Ma se mettiamo in fila tre interviste date ieri da autorevoli personaggi a tre giornali diversi emergono ulteriori elementi rispetto allo scenario ipotizzato finora da alcuni retroscenisti sul fatto che il segretario Pd, Nicola Zingaretti, sia indiziato di aver assicurato a Salvini la sua comune volontà di andare a votare, in una sorta di patto “Molotov-Ribbentrop” come scrisse per primo Augusto Minzolini per Il Giornale. E la spiegazione data poi anche da altri apparve molto logica ma forse anche un po’ troppo scontata. E cioè che così il segretario Pd si sarebbe liberato del peso determinante renziano nei gruppi parlamentari.

Da qui appare ovvia la reazione di Matteo Renzi che spiazzò all’inizio Zingaretti con l’ apertura ai 5s per un governo istituzionale che avrebbe bloccato il voto anticipato. Ma ieri un personaggio che non parla mai a caso, politico esperto e navigato come l’ex governatore lombardo, il due volte ministro leghista dell’Interno, nonché ex vicepremier, Roberto Maroni, ha fatto intravedere anche un altro scenario, attribuendolo a “voci” e quindi non accreditandolo certamente, sul ruolo che forse potrebbe aver avuto lo stesso Renzi nel convincere Salvini che il Pd avrebbe preferito il voto. Alla domanda della giornalista de La Stampa Francesca Schianchi, Maroni risponde: “Salvini non ne aveva sbagliata una…. Evidentemente aveva avuto garanzie. Voci dicono che avesse sentito Zingaretti e forse anche Renzi e volessero andare al voto: il suo errore è stato fidarsi”.

Altra intervista, altro personaggio, non più in politica attiva, ma un uomo del calibro del novantacinquenne Emanuele Macaluso, ex leader “migliorista” del Pci, che lavorò con Palmiro Togliatti. Il lucidissimo e raffinato analista politico Macaluso, secondo il quale bisognerebbe andare alle urne proprio perché la sinistra si metta alla prova con un suo vero progetto alternativo alla destra, dopo aver accusato gli eredi del partito da Occhetto in poi e non solo gli ex pci di essere affetti invece da “governismo”, butta là un’ipotesi in cui torna in ballo di nuovo Renzi. Dice a Il Mattino Macaluso riferendosi alla mossa di Renzi con i 5s che ha dato avvio alle danze: “Io non ringrazio affatto Renzi. Non vorrei che lui in fondo pensasse addirittura a subentrare a Conte in caso di suo insuccesso”.

Infine la terza intervista, di Renzi medesimo a Milano Finanza-Cnbc: “Il parlamento durerà fino al 2023, ma il governo dipende dalla qualità degli uomini che verranno scelti e dalla qualità d’azione che metterà in campo”. Certezza che non si andrà alle urne ma possibilità quindi che ci possano essere anche altri premier oltre a Conte? Anche se occorre ricordare che Renzi ha sempre chiaramente detto di voler restar fuori dal governo, cosa che ribadisce nella stessa intervista. Ci vorrà del tempo per scoprire il giallo, anzi il “verde” politico di Ferragosto, ovvero la molla finale che ha indotto il “capitano” leghista, l’uomo che ha portato “la piccola Lega” al 34 per cento, politico abile, cresciuto alla scuola di Bossi, a staccare la spina. Ammesso che la si riuscirà mai a scoprire, con tanto di prove.

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