A che punto è il conflitto in Libia?
A giudicare dalle notizie che giungono da quel quadrante, l’impressione è che o la Libia sia sull’orlo di un nuovo conflitto che, visti gli attori in campo, a partire da Russia ed Egitto, potrebbe far impallidire ciò che abbiamo visto finora, oppure che siamo sull’orlo di una soluzione negoziale – che non arriverà però prima di qualche letale scaramuccia e di aver risolto un problema colossale come la spartizione dei giacimenti petroliferi in Tripolitania e Cirenaica – che potrebbe scaturire proprio dall’ingorgo di forze che sono oggi contrapposte nella nostra ex colonia.
Questa almeno è l’opinione del generale Carlo Jean, che per la Libia intravede uno scenario simile a quello che si è visto un quarto di secolo fa nei Balcani, ossia un’alternanza tra azione militare e trattative negoziali.
Certo è che, quale che sia l’esito delle trattative, a uscirne incoronata sarà senz’altro la Turchia che in Tripolitania potrà fare il bello e il cattivo tempo, incluse le sue immense risorse petrolifere, a scapito degli interessi di un’Italia che, secondo il generale, paga la classica inconcludenza di una diplomazia disarmata che è però, come riconosce lo stesso Jean, il difetto madre o se si preferisce il DNA dell’Europa.
Generale, cosa dobbiamo aspettarci adesso dal conflitto il Libia?
Non escludo che la guerra possa prolungarsi sotto la forma di guerra per procura, soprattutto se dovessero intervenire gli Usa preoccupati per un’eccessiva presenza russa in Libia. Ma lo scenario che ritengo più probabile è che vi sia un negoziato che alternerà azioni di forza a passi diplomatici, fino a che si giungerà ad una definizione della linea di separazione tra il governo di Tripoli e quello di Tobruk. Anche questa via però è sbarrata da un problema estremamente complesso.
Quale?
Nella Libia orientale, ossia la Tripolitania e il pezzo di Fezzan più vicino alla Tripolitania, esistono due terzi delle riserve petrolifere libiche e circa due terzi delle riserve d’acqua, però vi vive un terzo della popolazione. Nella zona di Tripoli vi è un terzo delle riserve petrolifere e due terzi della popolazione. La partizione dunque non sarebbe indolore. Inoltre adesso è intervenuto un terzo fattore.
Ossia?
L’Egitto. Il suo presidente ha stabilito nel Golfo di Sirte, dove c’è il grosso dei terminali petroliferi libici, la linea rossa che le forze del GNA appoggiate dalla Turchia non devono superare. Questo significa che l’Egitto pretende di mantenere la supervisione sulla Cirenaica e sulla cosiddetta Mezzaluna del petrolio.
Lei pensa che il presidente al-Sisi darà seguito alle sue parole, magari appoggiato dai suoi alleati?
Il rischio c’è, soprattutto perché il Paese riceverà aiuti finanziari dai Paesi dai quali già dipende, ossia le monarchie del Golfo che in Libia seguono la stessa linea. Si tenga conto poi che questi paesi sono appoggiati sottobanco anche da Israele, visto che dall’Egitto dipende la fattibilità di un progetto come EastMed a cui Gerusalemme tiene particolarmente e che è invece fortemente avversato dalla Turchia.
A proposito di Turchia, molti la considerano ormai il dominus di Tripoli. Quali sono le sue mire in Libia?
Sicuramente ottenere una certa qual autonomia nei rifornimenti petroliferi, visto che il gas la Turchia lo ottiene già in parte dalla Russia, in parte dall’Iran e in parte dal bacino levantino. Quindi nel lungo termine l’interesse della Turchia è il controllo delle risorse petrolifere. Quanto al breve termine, non dimentichiamo che c’è il ricco piatto della ricostruzione della Libia. Si tenga conto che giù ai tempi di Gheddafi in Libia c’erano 30 mila lavoratori turchi. Inoltre le grandi imprese turche erano molto presenti già a quel tempo e la loro presenza si è ulteriormente rafforzata in questo periodo.
Tuttavia in Libia Erdogan deve fare i conti se non altro con la Russia, che in Libia pare avere intenzioni bellicose.
Io penso invece che non si arriverà ad uno scontro totale tra Turchia e Russia, ma che succederà quel che è capitato in Bosnia, ossia un’alternanza tra azione militare e trattative diplomatiche. Dal punto di vista strettamente militare, la Turchia al momento è avvantaggiata essendo riuscita a scacciare le forze di Haftar da buona parte della Tripolitania. Tuttavia bisogna vedere fino a che punto tale situazione non sia ribaltabile.
In che senso?
La situazione in Libia è estremamente liquida perché dipende dall’allineamento di centinaia di milizie, tribù e forze locali che possono cambiare sponda da un momento all’altro. Basti vedere cos’è successo a Tarhuna, che è caduta proprio perché la Settima Brigata si è fatta comprare da Sarraj ed ha cambiato campo.
Il ministro Luigi Di Maio pochi giorni fa è stato ad Ankara. Stiamo forse cercando, con l’interlocuzione con il Sultano, di recuperare posizioni che abbiamo ormai perso?
L’Italia ha perso ormai ogni prestigio, e nessuno prende sul serio i nostri ministri, specialmente quello degli Esteri. Purtroppo il problema è più vasto perché è l’intera Europa che è stata messa all’angolo dalla Turchia e dalla Russia che hanno dei sistemi decisionali e una volontà di impiegare lo strumento militare al servizio della diplomazia che sono decisamente più brillanti rispetto a quelli di un’Europa che da questo punto di vista rigetta per principio l’uso della forza.