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Tunisia

Perché è Conte la vera anomalia politica italiana

Le forme della politica non sono più quelle del ‘900. Sarà senz’altro cosi, nell’esaltazione del “particularismo” italiano. Ma in Europa le cose marciano diversamente. Lì quelle vecchie forme producono ancora politica. E non il grande ed immenso casino di un Paese allo sbando. Il commento di Polillo

Basterà la benedizione di Massimo D’Alema, dalle pagine de La Repubblica, per salvare Giuseppe Conte? Sostiene il vecchio leader maximo, del fu PCI: “non credo che possa passare per la mente di nessuno di mandare via da Palazzo Chigi l’uomo più popolare del Paese per fare un favore a quello più impopolare”. Del tutto inutile aggiungere i riferimenti personali. Del resto la vecchia ruggine nei confronti di Matteo Renzi, reo di avergli preferito Federica Mogherini, da allora non si è dissolta. Comunque sia, nel merito è difficile dargli torto. Se la politica fosse un concorso per l’uomo più simpatico dell’anno, probabilmente l’ex deputato di Gallipoli avrebbe completamente ragione. Ed il suo conterraneo del foggiano – vale a dire l’attuale presidente del consiglio – avrebbe la strada in discesa.

Ma sono questi i parametri, o meglio i paradigmi, della politica italiana? Per rispondere bisogna allontanarsi dal Bel Paese, e guardalo da lontano, in uno sforzo di obiettività. Lasciamo stare l’America di Trump. Prima poi quel teatrino scandaloso, messo in scena dal suo ex presidente, finirà. Rimaniamo in Europa, dove la situazione epidemiologica è forse peggiore di quella italiana. La pandemia ha forse intaccato la credibilità dei vari Governi? Certo non navigano in acque tranquille, ma si può forse dire che il degrado politico sia minimamente paragonabile a quello italiano?

Parigi ha prodotto un Recovery Plan che, seppure con qualche eccesso di colbertismo, rappresenta un modello da seguire. In Italia si tesse e si disfa, continuamente, la tela. Nemmeno si trattasse del mito di Penelope. La quale, almeno, una strategia nella testa l’aveva elaborata. Berlino, ancora una volta verrebbe da dire, ha dato dimostrazione dell’efficienza della macchina tedesca e del cinismo delle sue élites. La vaccinazione va avanti come un treno. Gli accordi separati con la Pfizer-BioNTech, nonostante i divieti europei, dimostrano la forza di un gruppo dirigente, capace di anteporre i propri interessi nazionali a qualsiasi altra cosa.

Ma guardiamo alla Gran Bretagna ed al suo leader: quel Boris Johnson che, fino a qualche mese fa, era considerato una sorta di macchietta vivente. Un gaffeur senza fine: lo si vide a proposito del Covid. Ebbene ha portato a termine uno dei negoziati – la Brexit – più difficili della recente storia inglese. Ed ora i bookmaker della finanza puntano sul Paese di Sua Maestà britannica. Secondo il World Economic League Table 2021, da oggi al 2035, i principali Paesi Europei (Germania, Francia, Gran Bretagna e Spagna) conserveranno più o meno le stesse posizione nella gerarchia internazionale. L’Italia, invece, scenderà dall’ottavo al quattordicesimo posto. Non proprio un bell’auspicio.

Questa è la cosa che i principali osservatori di questa crisi non hanno colto. Si sono limitati a commentare le tattiche dei singoli personaggi, le loro giravolte, addirittura i loro silenzi. Ma a nessuno è venuto in mente di mettere in relazione questi episodi con la crisi più generale del Paese. Poteva essere affrontata da un ceto politico che dire improbabile è fargli un complimento? Certo: l’esperienza insegna che, a volte, gli stessi professionisti della politica – lo si è visto negli anni precedenti – hanno mostrato tutto il loro fallimento. Ma, come spesso capita, è facile cadere dalla padella alla brace. Ed è quello che è avvenuto.

Confessiamo di essere anche prevenuti. Non ci piacciono i voli pindarici. Si può vincere un terno al lotto. Ma passare da uno studio legale a Palazzo Chigi, senza nessuno step intermedio, è qualcosa che difficilmente può riscontrarsi in natura. Essere Presidente del consiglio di due maggioranze di segno opposto è far fare ad Agostino De Pretis, il fondatore del trasformismo, la figura dell’absolute beginner. Un principiante che poteva pure abitare nell’Italietta dell’800, ma che non è compatibile con un Paese, come l’Italia, pieno di problemi, ma anche di potenzialità, che la politica non riesce a vedere.

Del resto basta assistere al balbettio quotidiano. Da un lato le veline fornite ai “portavoce” del MoVimento, dall’altro l’eloquio forbito del Presidente del consiglio, nella sua quasi quotidiana esposizione televisiva o dalle pagine dei principali quotidiani. Discorsi nei quali è difficile cogliere il senso di una proposta politica credibile, che non sia solo un lungo elenco di buone intenzioni. Ma quanto a tracciare una via, ad indicare una meta in grado di coinvolgere le forze più vive del Paese, siamo anni luce lontani. Forse è chiedere troppo ad un personaggio che si è affacciato alla politica solo in tarda età. Ma le elezioni, in una moderna democrazia, servono a questo. Le semplici nomine non sono contemplate, se non in casi eccezionali.

Ancora più inspiegabile il silenzio assordante di Nicola Zingaretti. Come se non si trattasse del leader del secondo partito politico italiano, almeno stando ai sondaggi, ed del primo della coalizione giallo rossa. La sua stella polare è il quieto vivere. Il mandare avanti altri per vedere l’effetto che fa. Così era stato, a quanto si dice, durante la crisi del governo giallo verde. Aveva garantito a Matteo Salvini l’immediato passaggio elettorale, qualora avesse tolto la spina al Conte 1. Non se ne fece nulla. Grazie anche alla spinta in direzione opposta e contraria di Matteo Renzi. In quel rapporto di amore – odio con il suo partito d’origine.

Ha una giustificazione tutto questo? Goffredo Bettini, il teorico del contingente, ritiene che sia questa la strada da seguire. La tesi è quella di un relativismo che non vale solo per l’etica. Si può stare a destra, a sinistra, con il centro o di lato. Quindi porte aperte ai “responsabili”. Le forme della politica non sono più quelle del ‘900, dissoltesi dopo il crollo del muro di Berlino. Sarà senz’altro cosi, nell’esaltazione del “particularismo” italiano. Ma in Europa, le cose marciano diversamente. Lì quelle vecchie forme producono ancora politica. E non il grande ed immenso casino di un Paese allo sbando.

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