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Giorgetti

Perché Draghi è furioso

I Graffi di Damato.

 

Salvo un paio di testate non so se più distratte o più previdenti, in controtendenza rispetto alle esagerazioni delle altre, i giornali sono pieni della crisi di nervi alla quale avrebbe ceduto Mario Draghi dopo che il governo è stato battuto quattro volte in Parlamento nell’esame delle cosiddette milleproroghe, in una sola parola: una specie di insaccato dove si mescola ogni anno un po’ di tutto, qualche volta anche di importante ma frequentemente di spessore minore.

L’indisciplina nella maggioranza del resto molto variegata, con i leghisti e i forzisti ogni tanto tentati di inseguire l’opposizione di Giorgia Meloni giusto per salvare quel po’ -sempre meno- che resta del centrodestra sulla carta e nelle amministrazioni locali, avrebbe a tal punto irritato il presidente del Consiglio -già nervosetto di suo da qualche tempo per essere stato coinvolto nella cosa al Quirinale ancor più di quanto non avesse voluto con quell’immagine del “nonno a disposizione delle istituzioni” mentre Mattarella negava bis a destra e a sinistra- a cogliere l’occasione offertagli da un colloquio già programmato al Quirinale per adombrare, minacciare e non so cos’altro le dimissioni. “Un altro lavoro so cercarmelo da solo”, ha egli stesso avvertito qualche giorno fa quanti già si affannavano a progettarne un’altra esperienza politica.

Tranquilli. Non sprecate soldi a scommettere su una crisi. Tutti i partiti -chi più e chi meno, anche quelli in apparenza più muscolari- hanno fra e dentro di loro troppi problemi per permettersi una deflagrazione degli attuali equilibri destinata a produrre non un altro governo ma le elezioni anticipate, ora che il presidente confermato della Repubblica ha riacquistato la prerogativa dello scioglimento delle Camere impeditagli nell’ultimo semestre del precedente mandato.

Ma senza neppure dover ricorrere al voto anticipato, e pur esonerati dalle urgenze delle liste dei candidati da predisporre per un nuovo Parlamento con un terzo dei seggi in meno, i patiti sono praticamente già in campagna elettorale, dovendo partecipare ai referendum sui temi della giustizia appena consentiti dalla Corte Costituzionale e al rinnovo di molte e importanti amministrazioni locali, dove si confronteranno vecchie e forse anche nuove alleanze. Dopo di che mancherà molto meno di un anno alla scadenza ordinaria della legislatura e alla conseguente campagna elettorale generale.

Alle vecchie e non superate emergenze -sanitaria, economica e sociale- che indussero Mattarella un anno fa a mandare Draghi a Palazzo Chigi si sono aggiunte altre difficoltà interne che contribuiranno a tenere alta la temperatura politica, per non parlare dei problemi internazionali ai quali l’Italia è sin troppo direttamente interessata. “Sono tornate ad imporsi -ha giustamente osservato l’ex capogruppo del Pd al Senato Luigi Zanda in una intervista alla Stampa- questioni squisitamente politiche sulle quali i partiti non potranno più nascondersi dietro le spalle di Draghi”. Il quale, dal canto suo, non può più materialmente sacrificarsi più di tanto nei rapporti coi partiti, per i quali ha mostrato indulgenza e comprensione in abbondanza prima degli equivoci esplosi con la corsa al Quirinale, senza danneggiare irrimediabilmente il credito meritatosi a livello internazionale in tutta la sua lunga carriera. Che è poi il credito in forza del quale egli può dire -ripeto- che all’occorrenza saprà cercare e ancor più trovare da solo un altro lavoro, persino meglio remunerato di quello attuale, se lo è, non potendo escludere che vi abbia anche rinunciato.

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