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Giorgetti

Perché Di Maio gongola per la sberla di Grillo a Conte

Che cosa succede fra Grillo, Conte e Di Maio. I Graffi di Damato

 

In attesa di qualche altra incolpevole spigola da consumare insieme sulla spiaggia di Marina di Bibbona pur fuori stagione, con tutti quei venti che ti spalmano di sabbia e spazzano via anche i fotografi convocati per riprendere l’ennesima riconciliazione, Beppe Grillo ha “zittito” Giuseppe Conte nella titolazione di qualche giornale. E lo ha fermato con un post sulla strada della reazione all’ordinanza del tribunale di Napoli che lo ha sospeso dalla presidenza del MoVimento 5 Stelle, al pari dei vice e degli altri graduati nominati dopo l’elezione estiva pur contestata con le carte bollate.

Più che zittito, visto l’obbligo della mascherina ancora perdurante anche all’aperto per la difesa dal Covid, direi che Grillo ha imbavagliato ancora di più Conte aggiungendo la sua, da garante supremo o elevato della “comunità”, come lo stesso Conte chiama la formazione pentastellata, alla sospensione disposta dal magistrato di una pur controversa competenza territoriale, secondo lo studio pseudo-legale del Fatto Quotidiano. Che nelle ore dispari della giornata è anche uno studio di investigazione pseudo-giudiziaria. Dove ormai stanno perdendo persino il conto dei “Conticidi” – scusate il bisticcio delle parole- avvenuti in meno di un anno.

Il primo Conticidio risale a quella sera in cui Sergio Mattarella – spazientito al Quirinale dagli inutili tentativi dell’allora presidente del Consiglio prima di non dimettersi e poi di cercare una maggioranza non più condizionata dagli umori di Matteo Renzi ma neppure macchiata da Matteo Salvini o da Silvio Berlusconi, o da entrambi- sbottò chiamando al telefono Mario Draghi e spedendolo a Palazzo Chigi come un mezzo commissario. Che le Camere, spiazzate ma anche sollevate dallo scampato pericolo delle elezioni anticipate, promossero con una larga fiducia a commissario intero.

Il secondo Conticidio, questa volta denunciato solo sul giornale di Marco Travaglio, senza un altro libro più o meno giallo da stampare in tutta fretta, sarebbe avvenuto col tradimento di una compagnia così eterogenea come quella di Enrico Letta, Matteo Salvini, Giorgia Meloni e Luigi Di Maio, quest’ultimo due volte infedele, nella gestione della candidatura dell’ambasciatrice Elisabetta Belloni, regina degli 007, alla Presidenza della Repubblica. Da allora Travaglio, come ha scritto di persona nell’editoriale odierno del suo Fatto Quotidiano, si sente prigioniero di un “museo delle cere”, con gli ultraottantenni Sergio Mattarella e Giuliano Amato rispettivamente al Quirinale e alla presidenza della Corte Costituzionale, e il poco meno anziano Draghi a Palazzo Chigi: tutti, peraltro, maledettamente maschi in una Repubblica che, per come si chiama, dovrebbe essere invece femmina.

Il terzo Conticidio sarebbe quello appena consumato dal non più divertente e geniale Beppe Grillo stoppando con un tiro a segno, proposto con tanto di fotomontaggio sul giornale così familiare per il popolo pentastellato, il piano improvvisato dal presidente sospeso del MoVimento di fare buon viso a cattivo gioco. Anzi, di trasformare il cattivo gioco del tribunale di Napoli in un affare facendosi rieleggere rapidamente, con una platea più larga di iscritti, anche per dimostrare la sua forza a quell’indisciplinato, ingrato e non so cos’altro di Luigi Di Maio, partito in quarta contro di lui dopo la conferma di Mattarella al Quirinale. Ora invece, vedendo Grillo tornato pienamente al comando per l’infortunio di Conte anche come avvocato, il giovane e ribelle ministro degli Esteri avrebbe motivo non dico di cantare vittoria, na almeno di salutare gli amici con ritrovata allegria.

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