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La frociaggine nei seminari e gli scherzi da prete dei vescovi a Papa Francesco

Papa Francesco sbotta contro la “troppa frociaggine” permessa nei seminari. Sui quali evidentemente la vigilanza dei porporati di casa nostra è minore di quella riservata alla politica... I Graffi di Damato.

Scherzi da preti, anzi da vescovi tutti italiani – si potrebbe dire – al Papa argentino sbottato in una protesta contro la “troppa frociaggine” permessa nei seminari. Sui quali evidentemente la vigilanza dei porporati di casa nostra è minore di quella riservata alla politica, visto che l’ultima, recente assemblea dei vescovi è arrivata sulle prime pagine dei giornali o per “l’altolà” attribuito al presidente della Conferenza episcopale, il cardinale Matteo Zuppi, al progetto governativo del premierato o per le critiche, rivelate dallo stesso Zuppi, di “qualche” prelato, soprattutto del Sud, all’attuazione delle autonomie differenziate introdotte nella Costituzione nel 2001 da una sinistra che nel frattempo si è pentita. E cerca di rimediarvi con l’aiuto appunto di “qualche vescovo” diventato sui giornali la maggioranza e forse anche più della Conferenza episcopale.

Giunti, dopo tanta passione politica, al cospetto del Santo Padre il 20 maggio scorso in un incontro a porte chiuse, gli episcopi debbono essere rimasti male nel non vedere accolte, sviluppate, condivise le loro preoccupazioni, o i loro umori politici, e di essere invece chiamati ad altri doveri e vigilanze con parole “senza filtro”, come le ha definite, sorpreso pure lui, Massimo Gramellini sulla prima pagina del Corriere della Sera.

Le parole di Francesco possono essere state diffuse solo da chi le ha ascoltate, si deve presumere, dovendosi escludere tanta disinibizione del Papa da averle lasciate scorrere fuori lui stesso, giusto per compiacersi del carattere “rivoluzionario” attribuito, per esempio, oggi dal direttore di Libero, Mario Sechi, al pontificato bergogliano.

“Sotto i ponti della Chiesa di Francesco”, per stare al titolo del Foglio, è così passato in pochi giorni, anzi in poche ore, anche il “campo largo” offertogli sia pure per scherzo da Roberto Benigni in Piazza San Pietro. Un campo ristrettosi improvvisamente più di quello inseguito dalla segretaria del Pd Elly Schlein puntando ad un’alleanza, prima o poi nazionale e non solo locale o sporadica, con Giuseppe Conte. Una Schlein che da omosessuale orgogliosamente dichiarata e praticante deve essere rimasta malissimo davanti al linguaggio così poco corretto politicamente, diciamo così, di un Papa popolare come ha saputo diventare Francesco. Una specie – deve avere pensato la Schlein – di generale Vannacci invecchiato e in bianco.

Opposta, credo, deve essere stata la reazione della Meloni, Giorgia per amici ed elettori. Che può essersi rifatta di tutto quello che hanno scritto e scrivono ancora di lei per quella “va o la scappa” o “chi se ne importa”, o “chissenefrega” romanesco, opposto – senza filtro pure lei – ai pronostici degli avversari sulla strada dell’elezione diretta del presidente del Consiglio. E ora anche della riforma della giustizia con la separazione delle carriere fra giudici e pubblici ministri, in via di uscita dal Consiglio dei Ministri e di arrivo al Parlamento con l’autorizzazione del Quirinale.

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