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Papa Bergoglio e Ratzinger, le sacre differenze che fanno discutere

Il pensiero unico biopolitico, cioè sulla vita e sulla morte, della “liquida” e tarda modernità è ancora fortissimo fra le classi intellettuali e benestanti ma ha cominciato a generare più di una diffidenza fra la gente qualunque. Cioè fra i “poveri cristi” a cui la Chiesa dovrebbe sempre guardare. “Ocone’s corner”, la rubrica settimanale del filosofo Corrado Ocone

 

Quando parliamo di Sessantotto parliamo di tante cose: non solo di un anno specifico della nostra storia, e nemmeno dei soli eventi di protesta, per lo più studenteschi, che culminarono ad esempio nelle giornate francesi del Maggio. Il Sessantotto col tempo si è trasformato, come è successo ad altri concetti, da categoria storica a categoria ideale. Parallelamente, e non poteva essere diversamente, i Sessantotto sono diventati tanti quanti i punti di vista e le sensibilità e interpretazioni storiche.

Non c’è dubbio che il Sessantotto del papa emerito Benedetto XVI, il grande teologo Joseph Ratzinger, sia legato soprattutto alla rivoluzione dei costumi e degli stili di vita, in primo luogo quelli sessuali. Questa rivoluzione, secondo la sua interpretazione, avrebbe messo del tutto da parte, fra gli anni Sessanta e Settanta del secolo scorso, prima fra le élite e poi anche fra la gente comune, i precetti e i modi di agire con cui la Chiesa cattolica, e il cristianesimo in generale, avevano da secoli dato una forma morale alla civiltà occidentale. Non solo: la rivoluzione avrebbe interessato gli stessi uomini di Chiesa che avrebbero assecondato, e in qualche modo favorito, lo “spirito del tempo”, accettando un’etica situazionale e relativistica che poco alla volta avrebbe finito per informare anche le loro vite e i loro giudizi.

La piaga della pedofilia fra gli uomini di Chiesa si inserirebbe perciò in questo contesto più ampio, di vero e proprio “collasso morale”, e non potrebbe essere sufficientemente compresa, e quindi neanche combattuta, qualora ci si fermasse alla superficie e solamente si condannassero i colpevoli dei reati più gravi. Sono queste, in estrema sintesi, le tesi che, sotto forma di “appunti” (anche se si tratta di un lungo testo), Ratzinger ha consegnato al mensile tedesco “Klerusblatt”.

Poiché non è dato pensare che il papa emerito sia un ingenuo, o che sia manovrato e giocato da alcuni uomini ostili a papa Bergoglio, come pure si è insinuato, bisogna chiedersi perché egli abbia deciso di uscire dalla riservatezza che si era imposto con un testo così perentorio e adeguatamente pubblicizzato (è stato pubblicato in contemporanea su diversi quotidiani in tutto il mondo). E perché proprio ora.

Senza fare dietrologie, è evidente che le dimissioni dal seggio pontificio del 2013, viste col senno dell’oggi, acquistano un senso più profondo di quello che la “ragion di Stato” (cioè il bene della Chiesa cattolica) ha fatto trasparire per volere degli stessi protagonisti. Non c’è dubbio che qui sono in gioco due concezioni diverse della Chiesa, difficilmente armonizzabili: una, quella di Bergoglio, secondo cui la Chiesa deve oggi recuperare un certo ritardo e vivere in pieno il nostro tempo assecondandolo nella misura del possibile; l’altra, quella di Ratzinger, che vorrebbe che invece la Chiesa non inseguisse la “popolarità” ma tenesse fermo sui principi teologici e morali che costituiscono la sua identità plurisecolare.

Per il papa dimesso(si) al “collasso morale” della società ha corrisposto, col Sessantotto, il “collasso della teologia morale che ha reso inerme la Chiesa“ di fronte al relativismo e al nichilismo che ha cominciato a diffondersi nella società. Che Bergoglio e Ratzinger vivano questa situazione di oggettiva conflittualità delle loro posizioni con dignità, e forse con la consapevolezza di essere solo “strumenti” di qualcosa di più grande che li sovrasta, depone a loro favore e ne fa certamente dei “personaggi tragici”.

Che la strategia bergogliana di attenzione ai tempi abbia dato dei risultati, arrestando la crisi delle conversioni o fermando il declino dell’istituzione, non è però sicuramente ad oggi dato vedere. A cinque anni dall’insediamento del papa argentino, si può però dire che lo “spirito dei tempi” abbia cominciato finalmente a soffiare in altra direzione (persino nella sua America Latina).

Il pensiero unico biopolitico, cioè sulla vita e sulla morte, della “liquida” e tarda modernità è ancora fortissimo fra le classi intellettuali e benestanti ma ha cominciato a generare più di una diffidenza fra la gente qualunque. Cioè fra i “poveri cristi” a cui la Chiesa dovrebbe sempre guardare.

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