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Non solo Verdi, ecco perché in Germania anche i liberali (Fdp) stanno crescendo

Otto anni fa erano scomparsi dal radar parlamentare, oggi l'Fdp ritenta la risalita e prova a registrare il miglior risultato della storia

Otto anni fa erano scomparsi dal radar parlamentare, scatenando dotte analisi sul tramonto del liberalismo in versione tedesca e qualche rimpianto per la dipartita di una forza storica della Bundesrepublik. E quattro anni fa fecero rientro al Bundestag per poi bruciare addirittura un’opportunità di governo (il tentativo Giamaica) per incompatibilità con Angela Merkel. A lungo è sembrato il primo di una lunga catena di errori, il più grave dei quali fu il pasticciaccio di un anno fa con l’Afd in Turingia. Ma i liberali dell’Fdp sono riemersi prepotentemente negli ultimi mesi e oggi si ritrovano sulla linea di partenza della campagna elettorale forti di sondaggi che li quotano tra l’11 e il 12%. Che se fosse confermato il 26 settembre, sarebbe fra i migliori risultati della sua lunga storia.

Niente male per un partito cui storici e giornalisti avevano di fatto celebrato il funerale un lustro e mezzo fa. I liberali sono tornati, sfidando lo Zeitgeist del momento, ecologista e tendenzialmente statalista, e son tornati per restare. Anzi, per andare al governo se i numeri richiederanno una coalizione a tre.

Il congresso (naturalmente virtuale) che nel fine settimana ha confermato il presidente in carica, Christian Lindner, e licenziato il programma elettorale ha lanciato segnali chiari. Finita l’era Merkel, con la quale il partito visse una burrascosa coalizione tra il 2009 e il 2013 conclusasi con la scomparsa parlamentare, l’Fdp vuole tornare al governo. Preferibilmente con la Cdu di Armin Laschet, con cui già governa in Nordreno-Vestfalia, il Land più popoloso della Germania. Ma siccome i numeri quasi certamente non ci saranno, i liberali sono pronti a sondare quella maggioranza Giamaica con i Verdi che sotto l’egida di Merkel rifiutarono, anche se potrebbero ritrovarsi a dover trattare con una cancelliera ecologista, piuttosto che con un nuovo cancelliere cristiano-democratico.

Di più, i liberali hanno anche un’ulteriore ipotesi, sebbene più azzardata soprattutto dal punto di vista programmatico: una maggioranza liberal-socialista con Verdi e socialdemocratici (coalizione semaforo). Anche qui c’è un modello regionale, la Renania-Palatinato, guidato da una presidente dell’Spd. È un’ipotesi che danza sul filo del 50% e può proporsi solo se tutti e tre i partiti coinvolti riusciranno a ricavare il massimo dalle urne. Ma anche questa è un’opzione che può permettere ai liberali di recuperare un ruolo di ago della bilancia della politica tedesca, come ai tempi di Hans-Dietrich Genscher, interpretando anche la diffusa voglia di cambiamento ribadita ancora ieri in un sondaggio dell’istituto demoscopico Allensbach che ha scosso il mondo politico berlinese: due terzi dei tedeschi vuole un altro governo dopo otto anni consecutivi di Grosse Koalition (e 12 negli ultimi 16 anni).

Analizzando le curve dei sondaggi, l’Fdp sembra contribuire al pari dei Verdi a prosciugare il consenso della Cdu. Il posizionamento critico voluto da Lindner nei confronti della gestione del covid del governo (e di Angela Merkel in particolare) gli ha consentito di intercettare due istanze tipicamente liberali: quella dei diritti individuali, da difendere e salvaguardare nei confronti delle tentazioni paternalistiche dello Stato, e quella delle libertà economiche impigliate nel reticolo di restrizioni comminate per contenere le ondate pandemiche.

Non c’è stato settore più penalizzato del lavoro autonomo, che si è caricato sulle spalle praticamente in esclusiva il fardello economico della seconda e della terza ondata pandemica. Gastronomia e turismo sono bloccati praticamente dallo scorso ottobre, il commercio al dettaglio ha chiuso i battenti a metà dicembre e ha riaperto solo da qualche settimana sotto rigide regole che ne limitano fortemente l’attività. Certo, i contagi andavano fermati, ma la scelta politica del governo ha segnato una frattura nel mondo economico: a differenza della prima ondata, infatti, la grande industria è rimasta aperta e l’arretratezza culturale e digitale del Paese non ha consentito che altri settori (la pubblica amministrazione ad esempio) contribuissero con un massiccio home office alla riduzione della circolazione e dei contatti.

Gli aiuti del governo sono stati massicci ma a volte non puntuali e comunque e non totali: i freelance dell’arte e della cultura sono rimasti scoperti, così come il personale non assunto di ristoranti e alberghi. I più deboli del ceto medio hanno pagato più di tutti e anche nel commercio restano ancora sospese molte spade di Damocle del fallimento.

Oltre a questa ampia area di ceto medio impoverito, l’Fdp sta intercettando il malcontento cresciuto nel più ampio mondo imprenditoriale per i ritardi negli investimenti in infrastruttura e innovazione degli ultimi governi. Quel che si è fatto non è stato abbastanza, criticano da tempo le grandi associazioni industriali, e rischia di far perdere alla Germania l’aggancio con i grandi player internazionali, Usa e Cina, ma anche Corea del Sud e l’intera filiera delle tigri del Sudest asiatico.

Se Merkel non è più l’interlocutore ricercato (data la non ricandidatura), Lindner e la sua Fdp sembrano attirare l’attenzione degli imprenditori molto più che Armin Laschet e la sua ancora confusa nuova Cdu o Olaf Scholz, le cui ricette socialdemocratiche prevedono troppe tasse per i loro gusti.

Lindner prova a cementare questo feeling ritrovato con l’economia e l’impresa, presentandosi come garante di posizioni genuinamente liberali in eventuali trattative di governo con i Verdi e con uno dei due storici (e forse ex) partiti di massa. Il programma contiene una chiara promessa di non aumentare la pressione fiscale, già molto alta in Germania, ma anzi di provare ad alleggerire il carico soprattutto per quelle imprese che investendo contribuiranno alla crescita. Un occhio al consolidamento di bilancio, tradizionale cavallo di battaglia dell’Fdp: spese sì, ma contenute nel tempo e finalizzate a sostenere ricerca, innovazione e ammodernamento digitale, senza dimenticare che l’impegno finanziario dello Stato deve e può essere affiancato da quello dei privati. E poi un rapido ritorno al freno per l’indebitamento pubblico, una volta riaccesi i motori della crescita dopo il covid.

Quanto ai temi verdi, al centro del confronto elettorale e volano dell’ascesa dei Grünen, i liberali puntano i piedi proprio contro l’idea che il perseguimento degli obiettivi per riduzione di emissioni e tutela ambientale debbano ricadere sulle spalle dei contribuenti: gli stessi scopi possono essere raggiunti puntando sullo sviluppo e la competizione delle innovazioni tecnologiche.

E poi c’è la questione dei diritti individuali, sottolineando i quali non solo l’Fdp ha trovato una via stretta ma vincente per criticare il paternalismo governativo in tempo di covid senza scivolare nel populismo alla Afd, ma ha anche rafforzato il secondo pilastro (dopo quello economico) del profilo di partito.

L’Fdp non gode di stampa favorevole nell’ambiente mainstream dell’informazione tedesca, ma bisogna riconoscere che mentre altri partiti profondevano parole e firmavano appelli per sostenere le libertà civili, i liberali le praticavano: il ricordo va al leader scomparso Guido Westerwelle, che come ministro degli Esteri portò la sua normalità omosessuale su molti prosceni della politica internazionale, anche in Paesi dove questi temi sono tabù.

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