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Berlino

Cosa è rimasto del muro di Berlino

I turisti che oggi percorrono le strade di Berlino alla ricerca delle tracce del muro restano con un palmo di naso. Ma qualcosa è rimasto.

Di anno in anno il Muro divenne sempre più impenetrabile. E più dei tentativi di fuga poté il lavoro delle diplomazie. I lasciapassare natalizi, in vigore fin dal Natale 1963 e poi prolungati fino al 1966, consentirono ai berlinesi occidentali di rivedere, almeno in occasione delle feste e solo per ventiquattr’ore, i propri parenti dall’altra parte del Muro. Sull’onda dell’Ostpolitik, l’accordo quadripartito tra Stati Uniti, Gran Bretagna, Francia e Unione Sovietica del 1971 risolse alcune questioni giuridiche legate a Berlino, regolando in maniera meno restrittiva le visite degli abitanti nei due diversi settori della città.

Lentamente anche il Muro, considerato da André Malraux “il più brutto monumento di questo secolo”, entrò a far parte del paesaggio, pur mantenendo forte il suo significato di simbolo dell’Europa e della Germania divisa: l’anormalità di Berlino divenne in un certo senso normale. La città perse, con la stabilizzazione dell’equilibrio bipolare internazionale, quel ruolo di Frontstadt, di città di frontiera, e di epicentro di ogni crisi. E quasi si assopì su se stessa dopo tanta tensione.

Poi la storia riprese a muoversi, in Europa orientale e per le vie di Berlino, negli Anni Ottanta per accelerare alla fine del decennio. Era il 1989. La sconfitta della sfida gorbacioviana di riformare il comunismo, il rapido sgretolamento della solidarietà tra i paesi del Patto di Varsavia, il tracollo economico e produttivo degli Stati comunisti, portò al progressivo collasso del blocco sovietico. L’estate del 1989, densa di cambiamenti a est dell’Elba, fu segnata tra l’altro da  nuove fughe dei cittadini tedesco-orientali, questa volta attraverso le ambasciate di Bonn a Praga, Budapest e Varsavia. Uno smottamento: l’apertura dei confini ungheresi e cecoslovacchi, poi le manifestazioni sempre più imponenti nelle maggiori città della Ddr: Lipsia, Dresda, Magdeburgo, infine Berlino Est. La caduta di Eric Honecker e l’ultimo disperato tentativo di salvare il regime con la presidenza di Egon Krenz.

Tutto inutile, la storia era sfuggita di mano. La sera del 9 novembre, alle 18, Günter Schabowski, il portavoce della Sed, il partito unico socialista della Ddr, si presentò a una conferenza stampa internazionale per rendere note le ultime decisioni del Comitato centrale del partito, assunte sotto la duplice pressione dei fuggitivi e delle manifestazioni di piazza. Annunciò che i cittadini tedesco-orientali avrebbero potuto ottenere, in attesa di una più particolareggiata disposizione di legge, i visti di uscita e di soggiorno per l’estero. Interrogato sulla data di validità delle nuove disposizioni dal corrispondente dell’agenzia Ansa Riccardo Ehrman, Schabowski rispose, forse facendosi prendere la mano, “ab sofort”, da subito, aggiungendo che le disposizioni riguardavano tutti i punti di passaggio dalla Ddr alla Bdr e dunque anche quelli tra Berlino Est e Berlino Ovest.

Il Muro era caduto così come era stato costruito: in una notte. Un’ora dopo ai varchi controllati da guardie di frontiera, di fronte a poliziotti spaesati e a corto di informazioni, si presentarono migliaia di cittadini. Passarono tutti dall’altra parte dando vita a quella festa di gioia irrefrenabile tra gli abitanti delle due Berlino ripresa dalle televisioni di tutto il mondo. Alla Porta di Brandeburgo, centinaia di giovani al massimo dell’euforia, ballarono tutta la notte su quello che da qualche ora non era più il Muro invalicabile.

Oggi, i turisti che percorrono le strade di Berlino alla ricerca delle tracce del Muro, restano con un palmo di naso. Tutto è stato smontato, ridotto a macerie, a materiale per la riparazione delle autostrade, a souvenir turistici. Qualche pezzo è stato recuperato e sistemato in vari punti della città, alcune lastre sono state donate in giro per il mondo. L’onda del nuovo ha travolto il confine che per ventotto anni ha segnato la vita della Berlino divisa. Eppure, un paio di luoghi dove ritrovare il vecchio, “caro” Muro, nella sua collocazione originale, ancora ci sono. Uno, più turistico, è sulla Bernauer Strasse, a due passi dalla lapide che ricorda lo sfortunato tentativo di fuga di Olga Segler.

L’altro è più nascosto. Bisogna scendere fino al Treptowkanal, nel quartiere di Kreuzberg, e salire su una delle piccole imbarcazioni ormeggiate lungo i bar all’aperto che rendono più allegre le serate berlinesi. Una volta a bordo, si deve remare con forza, fino a quando il canale non sfocia nel fiume Sprea. Meglio farlo di notte, quando il buio attutisce la frenesia cittadina e la torre televisiva di Alexanderplatz si specchia nelle acque scure del fiume.

Entrati nella corrente della Sprea, si piega a destra e poco dopo a sinistra. Bisogna fare attenzione perché il Muro è proprio lì, in mezzo all’acqua, a dividere ancora in due la città come fosse una diga. Se si lega la fune a un ormeggio, si può salire attraverso la scala di metallo ormai arrugginita, un tempo utilizzata dai Vopos, e camminare, magari saltare e ballare come quei ragazzi trentaquattro anni fa, sul Muro in mezzo all’acqua. “You are leaving the American sector, Vri vriesgaietie is sovietskie sektora, You are leaving the British sector, Vous quittez le secteur français”. Oggi, a Berlino, non si esce e non si entra in nessun settore. È finita quella guerra fredda, ma le speranze nate in quella notte sono sprofondate nelle inquietudini del nuovo millennio. E forse in una nuova guerra fredda tra Ovest ed Est.

(5. FINE. Le precedenti puntate si possono leggere qui, qui, qui e qui)

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