La vicenda di Cecilia Sala è molto complicata, la famiglia adesso chiede riservatezza e discrezione nel maneggiare le informazioni, dopo giorni in cui è stato invece tutto molto pubblico. Per capire cosa sta succedendo, bisogna considerare fronti: quello italiano, quello americano e quello iraniano. Ma prima di addentrarsi nell’analisi, vale la pena ribadire una cosa. Molti, fin da quando si è saputa la notizia, chiedono: di cosa è accusata la giornalista del Foglio e di Chora Media imprigionata in Iran? Che cosa le imputa il regime teocratico degli ayatollah? La risposta, a due settimane dall’arresto del 19 dicembre e a una dalla notizia, non c’è. E non c’è perché è irrilevante: regimi come quelli dell’Iran usano la legge come strumento di potere. Non è il governo soggetto alla legge, ma la legge al governo. Quindi la vera domanda è: cosa vuole l’Iran in cambio di Cecilia Sala?
COSA VUOLE L’IRAN
Questo ormai lo sappiamo: l’Iran vuole la liberazione di Mohammad Abbedinajafabadi, detto Mohammad Abedini, che la polizia italiana ha fermato a Malpensa, su richiesta degli Stati Uniti, il 16 dicembre, tre giorni prima dell’arresto di Cecilia Sala.
Abedini ha 38 anni ed è inseguito dalla giustizia americana con un’accusa pesante: aver aggirato le sanzioni americane contro l’Iran per fornire tecnologia vietata alle guardie rivoluzionarie del regime che è stata usata in droni che hanno ucciso tre americani.
Abedini è co-fondatore e capo dell’azienda iraniana SDRA che tra 2019 e 2023 ha venduto tecnologia praticamente solo all’aviazione iraniana. In particolare, SDRA vendeva un sistema di navigazione chiamato Sepehr che è usato soprattutto in droni senza pilota ma anche in missili di crociera e balistici, si legge nell’atto d’accusa del dipartimento di Giustizia americano.
Il 28 gennaio 2024, alle 5 di mattina, un drone Shahed-101 P 33 attacca una base americana in Giordania nota come Torre 22 e uccide tre americani e ne ferisce 40. Quel drone usava la tecnologia SDRA. Secondo l’accusa, ci sono tracce dirette negli account di Abedini della versione del sistema di navigazione Sepehr usato nell’attacco a Torre 22.
Abedini usava una società schermo in Svizzera, Illumove, basata nella Scuola politecnica federale di Losanna EPFL, dove Abedini ha lavorato fino al 2022. Illumove comprava componenti e poi vendeva la tecnologia all’aviazione iraniana, in modo da aggirare le sanzioni internazionali.
E’ chiaro che con accuse così circostanziate e con tre americani morti di mezzo, gli Stati Uniti non siano affatto del parere di usare Abedini come oggetto di scambio con Cecilia Sala. Per il dipartimento di Giustizia Abedini deve essere estradato e processato anche per dare un messaggio: aggirare le sanzioni e fornire tecnologia ai Paesi nemici dell’America è un crimine grave.
COSA VOGLIONO GLI STATI UNITI
Questo è il primo livello di complicazione nella vicenda di Cecilia Sala: una faccenda che nulla c’entra con il suo lavoro in Iran, diventa il probabile innesco per il suo sequestro. Ma l’Italia non è l’Iran, i magistrati non possono aggirare le leggi anche se questo potrebbe essere d’aiuto alla politica per uscire da una situazione difficile.
Gli americani, peraltro, sospettano che in Italia un precedente di questo tipo ci sia già stato: la fuga di Artem Uss, un imprenditore russo in attesa di estradizione negli Stati Uniti, è evaso dai domiciliari a Milano a marzo 2023. Anche lui era stato fermato a Malpensa nel 2022, in quanto figlio di un oligarca vicino a Vladimir Putin.
Uss ottenne i domiciliari e poi scappò. Abedini prova a fare lo stesso. Quella che all’epoca era sembrata una catena di circostanze sfortunate e di efficacia dei servizi russi, potrebbe invece essere stata il risultato di una trattativa segreta e illecita.
Difficile dire però che cosa l’Italia abbia avuto o cercato di ottenere in cambio della fuga di Uss, ma di sicuro con quel precedente gli Stati Uniti saranno particolarmente attenti alla custodia di Abedini.
Ci sono altri sei casi analoghi oltre a quello di Uss, scrive Luigi Ferrarella sul Corriere della Sera, e dunque è difficile per Abedini conquistare gli arresti domiciliari, anche se magari presso il consolato iraniano.
Il ministro della Giustizia Carlo Nordio ha il potere di impedire l’estradizione, ma questo significherebbe impedire agli americani di processare quello che considerano un complice dei terroristi.
Ci sono delle scappatoie formali, come appellarsi al fatto che l’Italia non classifica l’esercito iraniano come organizzazione terroristica, a differenza degli americani, ma la sostanza non cambierebbe. Sarebbe uno scontro totale con Washington. Ci sono precedenti, ma tutti traumatici.
LA GESTIONE DEL GOVERNO ITALIANO, TRA STATI UNITI E IRAN
Il secondo livello di complicazione in questa storia riguarda proprio la gestione dal lato italiano. Si poteva fare qualcosa per prevenire il sequestro? In quei tre giorni scarsi tra il fermo dell’uomo dei droni Abedini e l’arresto di Cecilia Sala il governo avrebbe potuto intuire cosa stava per succedere?
L’ex agente segreto Marco Mancini ha detto che il governo, tramite i servizi segreti, avrebbe dovuto mettere Cecilia Sala su un volo privato e farla uscire dal Paese. Altri retroscena rimpallano le responsabilità tra Aise, il servizio segreto estero, e il ministero degli Esteri: l’Aise ha segnalato il problema ma la Farnesina non si è mossa, dice qualcuno.
Altri osservano che c’era poco da fare: i connazionali si esfiltrano da un Paese in quel modo nel pieno di crisi conclamate, non per timore di possibili ritorsioni per una operazione tutto sommato minore come il fermo di Abedini a Malpensa.
Inoltre, Cecilia Sala sapeva muoversi, conosceva il Paese, aveva intervistato Hossein Kanani, uno dei fondatori dei pasdaran iraniani, che nel podcast Stories presentava la visione del Medio Oriente del regime. Una intervista che indica contatti anche amichevoli con almeno una parte del potere iraniano, ma questo può essere addirittura pericoloso in un sistema violento e fragile, con varie fazioni in lotta tra loro.
(Estratto da Appunti)