Dove si comincia a respirare un po’ di aria di vicino Oriente, restando però con i piedi in Europa, anzi in piena Europa? Le risposte a questa domanda, che fa il paio con la più opaca domanda su dove cominciano i Balcani multietnici, variano in funzione del luogo da cui siete partiti. Ma una prima risposta può essere: dove cominciate a vedere i minareti.
In proposito premettiamo che i minareti che incontrerete nei Balcani e in Turchia non sono quelle torri tozze che troverete di fianco alle moschee delle città del Nord Africa, ma degli snelli “grattacieli” a pianta circolare con tetto a cuspide caratteristici di tutti i luoghi che hanno conosciuto la dominazione ottomana in Europa.
Tetto a cuspide perché nei Balcani e in Turchia si ha da difendersi dalla neve prima che dalla mancanza d’acqua. L’Europa sud-orientale non è il Maghreb. La loro architettura non stride con la natura antropizzata che li circonda: tra le foreste e fra i campi coltivati (molto europei) di certe parti dei Balcani stanno bene altrettanto quanto un campanile con la cuspide a cipolla in un villaggio austriaco, sloveno o ungherese.
Se provenite da Nord-Ovest, per esempio dall’Italia nord-orientale, dall’Austria o dalla Slovenia, il più vicino impatto con i minareti lo avrete a Bihać, nell’estremo nord-ovest della Bosnia-Erzegovina (BiH), a qualcosa come solo centocinquanta chilometri da Zagabria: autostrada fino a Karlovac e poi deviazione su una strada secondaria e varco della frontiera con la BiH a pochi chilometri da Bihać.
Se invece provenite dalla costa dalmata, la meta più vicina dove vedrete minareti è Mostar, “capitale” dell’Erzegovina. D’estate fa molto caldo a Mostar, ma per certi baldi giovanotti (ma anche maturi signori) lo sport preferito è gettarsi dal vecchio ponte nelle acque fresche della Narenta. Per me che soffro di vertigini sono eroi, li ho sempre apprezzati e ammirati, perché tuffarsi da quelle altezze non è da tutti. In un qualche libro del compianto Enzo Bettiza, nato a Spalato da una famiglia agiata proprietaria di un cementificio, l’autore ricordava con una certa invidia l’abilità dei tuffatori, che ammirava quando da ragazzino suo padre se lo portava per ragioni di lavoro appresso nei suoi viaggi d’affari in tutta la Jugoslavia allora monarchica.
Sulle manovre di questi eroi vigilano ancora le due torri a guardia del ponte. Ma anche, da un lato minareti, dall’altro campanili di chiese cattoliche. I tuffatori più bravi fanno il pieno di applausi, raccolti dalle famigliole mussulmane così come da quelle cattoliche e dai sempre più numerosi turisti. Il tempo dei piccoli e grandi odii è superato da quello della ricerca di souvenir e, per i pellegrini cattolici, dell’attesa dei pulmann per andare a Međugorje.
Per chi provenga dal Sud-Est, dalla Puglia, l’impatto è ancora più immediato, come dire senza filtri. Vi imbarcate alla sera su un traghetto da Bari per Durazzo, per esempio. Il traghetto abbandona il porto di Bari lasciandosi dietro il campanile della cattedrale, visibilissimo dal ponte della nave. In cabina non fate in tempo a dormire quanto vorreste: poche ore e già siete in vista di Durazzo, con i nuovi grattacieli posizionati sul lungomare a ovest della città, i lidi che ricordano quelli della riviera romagnola, la residenza che fu di re Zog sulla collina. E le nuove e le riadattate moschee che stanno smentendo il teorema dell’Albania come “Paese senza Dio”, proclamato alla fine degli anni Sessanta da Enver Hoxha.
Per chi provenga da Nord, seguendo la rotta (oggi tutta autostradale) Budapest-Salonicco, il primo incontro con i minareti avviene in territorio ancora serbo, nella valle di Preševo per la precisione, principalmente abitata da albanesi. Pochi chilometri di autostrada e sarete in coda ai controlli di confine con la Repubblica della Macedonia del Nord. In estate, le code di automobili possono essere anche di chilometri: da qui passano turisti serbi in viaggio verso la Calcidica, turisti cechi, slovacchi, ungheresi e polacchi, con portabagagli carichi di cibo diretti anch’essi verso la penisola greca sull’Egeo, con a bordo dei loro SUV bambine e bambini dalle chiome bionde cui sistematicamente nell’attesa scappa la pipì e mamme imbarazzate che li aiutano.
Avete superato i controlli, e ora siete nel territorio di quella che oggi si chiama Repubblica della Macedonia del Nord, a conclusione di una lunga disputa con la Grecia su chi fra le due avesse il diritto di usare il termine “Macedonia”. Disputa risolta grazie all’uso del buonsenso, risorsa di importanza primaria in quasivoglia controversia internazionale. La “Repubblica di Skopljia” (così continuano a chiamarla molti greci) è il Paese più multietnico dei Balcani. Non è per caso infatti che il termine “Macedonia” sia usato in italiano per designare un’insalata di frutta mista. Macedonia come incrocio fra genti di diversa origine, ma che come vessillo nazionale ha adottato quello di Alessandro il Grande, cui ha anche dedicato statue equestri e il nome del proprio aeroporto.
Entrati in Macedonia e proseguendo verso Sud, continuerete per un pò a vedere minareti, a destra e a sinistra dell’autostrada. Per esempio quando costeggerete Kumanovo, che pure fu il luogo in cui, durante le guerre balcaniche, la Serbia sconfisse gli Ottomani. Deviazione raccomandata (prima di procedere ulteriormente verso Sud): bretella autostradale per Skoplije, capitale della Macedonia. La bretella è parte di quella autostrada che il governo macedone ha dedicato a Madre Teresa di Calcutta, nata a Skopije.
A me Skopije piace moltissimo. Il terremoto del 26 luglio del 1963 la sconvolse, ma la ricostruzione fu affidata a architetti e urbanisti di fama mondiale, e questo si vede nella Skopije di oggi. Edifici avveniristici, grandi viali, molto verde. Naturalmente, dietro la facciata della città ricostruita troverete casupole da villaggio. E poi, come ovunque in Macedonia, campanili e cupole cristiane, e minareti. E grandi ristoranti ma anche localini dove bere thè, simili a quelli dei loro “cugini” delle città del Vicino Oriente.