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Giorgetti

Melonismi all’europea

Fatti, aspettative e commenti sugli appuntamenti bruxellesi di Giorgia Meloni. I Graffi di Damato

 

Con la solita efficacia di scrittura e di immagine Antonio Polito ha scritto sul Corriere della Sera – a proposito degli appuntamenti odierni a Bruxelles con la presidente del Parlamento continentale, la presidente della Commissione esecutiva e il presidente del Consiglio europeo – che Giorgia Meloni “farà bene a usare questo primo contatto per prendere le misure dell’abito da indossare” nelle successive riunioni collegiali, “perché non potrà essere quello sfoggiato nell’esordio da premier a Roma”.

Che è l’abito della sfida, della durezza su tutti i fronti: la Meloni “fiera del pugno di ferro” rappresentata dalla Stampa in riferimento alle misure adottate con urgenza su raduni, carcere “ostativo” dei detenuti di mafia e rientro anticipato dei medici no vax negli ospedali in Italia. Esse hanno provocato non poche proteste, e riserve anche nella maggioranza ad opera dei forzisti di Silvio Berlusconi, alle quali la premier ha reagito dicendosi “orgogliosa” delle decisioni prese, pur sapendo che sono destinate, specie in materia di raduni non autorizzati con più di 50 persone punibili sino a 6 anni di carcere, ad essere modificate in Parlamento.

La durezza in sede europea è quella, evocata in un titolo sul Foglio, della “pacchia finita” gridata in piazza dalla Meloni a Milano in campagna elettorale contro una Unione Europea solitamente piegata agli interessi dei tedeschi. Con i quali già Mario Draghi – che l’ha preceduta a Palazzo Chigi lasciandole in eredità un contenzioso sostanzialmente ancora aperto proprio con Berlino sulla crisi energetica e il tetto necessario al prezzo del gas – le ha consigliato nella cordiale e collaborativa transizione fra i due governi di imitarlo nel pugno chiuso in un guanto di velluto. O – per restare all’immagine di Polito sul Corriere – indossando un abito non troppo stretto.

Le circostanze hanno purtroppo voluto che la missione di approccio, diciamo così, della Meloni a Bruxelles, già di per sé non scambiabile per “una passeggiata”, come ha titolato il manifesto, coincidesse con uno scontro a livello diplomatico proprio con i tedeschi sul problema vecchio e spinosissimo dell’immigrazione clandestina. Che non è una questione bilaterale, la cui controparte per l’Italia varia da un caso all’altro, ma generale, continentale perché chi, da solo o soccorso in mare da una nave volontaria, punta sui porti italiani come confini meridionali dell’Europa.

Della nuova controversia invece bilaterale fra Italia e Germania – la cui bandiera sventola sulla nave Humanity 1 diffidata dal Viminale, come ai tempi del ministro dell’Interno Matteo Salvini, dallo sbarcare da noi 179 migranti, di cui 105 minori, senza una preventiva loro distribuzione fra i Paesi dell’Unione – si è occupato con particolare e significativa evidenza Avvenire, il giornale dei vescovi italiani. Il suo titolo al centro della prima pagina dice. “Meloni: navi ong pirata – Berlino: soccorsi subito”.

Ma all’Humanity 1 per parità di condizioni, con il coinvolgimento questa volta anche della Norvegia, si sono nel frattempo aggiunte altre due navi. Il totale dei migranti trattenuti in mare senza poter contare su uno sbarco regolare nei porti italiani è di circa un migliaio.

Come la Meloni nella sua “avventura di governo spero lunga, sicuramente difficile”, ha detto nella cerimonia di giuramento dei sottosegretari a Palazzo Chigi, voglia risolvere questo problema si sa: con la distribuzione dei migranti fra i vari paesi europei già prima delle loro partenze dalle coste africane, grazie a un blocco navale concordato fra gli Stati affacciati sul Mediterraneo. I disperati oggi gestiti dai cosiddetti scafisti, cioè dai rivoltanti commercianti di carne umana, dovrebbero poter attendere ordinatamente, e davvero liberi, non imprigionati e trattati come bestie, che apposite commissioni europee ne controllino provenienza e richieste di espatrio e li destinino ai vari paesi dell’Unione. Sarebbe bello, certo. Ma neppure il cammino verso una simile soluzione, per dirla col manifesto, è “una passeggiata”.

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