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Europee

Meloni e Schlein si candideranno alle Europee?

Una riflessione a partire dal fatto che le due donne italiane a capo rispettivamente del Governo e della maggioranza l’una e dell'opposizione l'altra si candidano capolista alle Europee. L'intervento di Alessandra Servidori

La questione pare non essere sufficientemente approfondita ma corre l’opportunità di farcesopra una riflessione se le due donne italiane a capo rispettivamente del governo e della maggioranza l’una e dell’opposizione l’altra si candidano capolista alle Europee. Quest’ultime non dimostrano, a parere di chi scrive, una gran lungimiranza. Per una serie di conseguenze oggettive e obiettive.

La più importante delle quali pare essere quella che se poi non svolgono il ruolo in Parlamento europeo e rinunciano, scatta il seggio per il secondo candidato in graduatoria, inevitabilmente maschio. Nelle elezioni europee del maggio 2019 hanno trovato applicazione per la prima volta le previsioni a regime introdotte dalla legge 22 aprile 2014 n.65 per rafforzare la rappresentanza di genere. In particolare, è prevista la composizione paritaria delle liste dei candidati, disponendo che i candidati dello stesso sesso non possono essere superiori alla metà, a pena di inammissibilità. Inoltre, i primi due candidati devono essere di sesso diverso. C’è poi la tripla preferenza di genere: le preferenze devono riguardare candidati di sesso diverso non solo nel caso di tre preferenze, ma anche nel caso di due preferenze. In caso di espressione di due preferenze per candidati dello stesso sesso, la seconda preferenza viene annullata; in caso di espressione di tre preferenze, sono annullate sia la seconda che la terza preferenza (e non solo la terza preferenza, come nella disciplina per il 2014).

Come la costituzionalista Marilisa D’Amico, condivido il punto di partenza che era e rimane di rispettare una democrazia fatta di donne e di uomini, e sappiamo che abbiamo affrontato difficoltà ad attuare la parità costituzionale con storiche sentenze. Ricordiamo l’ingresso delle donne in magistratura fino ad arrivare alle famose azioni positive incardinate su norme antidiscriminatorie anche in materia elettorale seguite a ruota dalle quote tra legislatore e Corte costituzionale, il nuovo art. 51 Cost. e la legittimità della doppia preferenza di genere, la legislazione più recente novellata e la necessità di approvare norme antidiscriminatorie anche per il Senato.

Abbiamo ancora tante resistenze a livello di Giunte regionali e degli enti locali che riusciamo a contrastare con le fondamentali affermazioni della giurisprudenza amministrativa e costituzionale fino ad arrivare alla composizione del CSM e degli altri organi costituzionali. In buona sostanza grazie alle riforme della Carta costituzionale, agli interventi legislativi, alle interpretazioni giurisprudenziali dei giudici comuni e della Corte; grazie alle battaglie delle donne e delle associazioni, a una sensibilità nuova da parte dei partiti politici più attenti al tema dell’eguaglianza di genere, la situazione femminile all’interno delle istituzioni è abbastanza migliorata negli ultimi anni.

Ma non basta, bisogna continuare e coltivare la forza di crescere.

Ecco perché dobbiamo (anche con le leader nostrane) individuare con lucidità gli strumenti che ci portano a rafforzare anche la “politica al femminile” che, fino ad ora, è riuscita a contribuire un incremento della qualità della decisione parlamentare. Perché vero è che le donne non sono presenti in Parlamento per rappresentare le donne ma ci si attende un aumento della componente femminile in Parlamento sui temi femminili in particolare, economici, antidiscriminatori aumentando la consapevolezza dei problemi politici, con norme e decisioni maggiormente equilibrate.

In presenza di una più consistente compagine femminile in Parlamento sia comunitario che nazionale, il miglioramento non può però non esserci e ancora in verità molto c’è da fare. Alcune questioni lo mettono in luce, come il dramma della violenza di genere, il gap esistente sul versante dell’occupazione, o ancora i dati sulla natalità che rivelano ancora una volta la fatica delle donne lavoratrici a costruirsi una vita familiare: dati sempre più in declino, così come il gap nelle retribuzioni considerevole rispetto agli stipendi degli uomini, nella categoria dei dirigenti d’azienda.

Si è in parte riequilibrato la composizione dei cda nelle società, ma poco o nulla è accaduto con riferimento alle fasce immediatamente inferiori, quelle appunto dei dirigenti.

Sull’onda delle Direttive Europee e dell’Oil abbiamo ratificato la Convenzione di Istanbul, la costruzione di un Inter-gruppo parlamentare per le donne, l’approvazione di disposizioni in materia di sicurezza e contrasto alla violenza di genere, norme sul telelavoro e lo smart working, sui congedi parentali, tutte norme poco applicate con uno stop and go certo non strutturali, e sempre residuali.

L’influenza di diversi meccanismi determinano le carriere nelle organizzazioni lavorative (es. logica dei turni, meccanismi che inibiscono le candidature), discriminazioni di genere e caratteristiche individuali, ma anche le difficoltà di conciliazione con la vita familiare in un contesto che tende a non riconoscere o mantenere invisibile il valore sociale della cura. Fattori che ostacolano e accompagnano a carriere discontinue, più lente e frammentate, meccanismi che influenzano la propensione a candidarsi e ad avere aspettative di avanzamento e generalmente senza supporti.

Le donne sperimentano di più ostacoli rispetto agli uomini nel percorso di carriera, per fattori individuali, organizzativi e sociali. Questi fattori si manifestano nelle pratiche sociali delle organizzazioni attraverso diverse fasi della carriera, sono simili nel variare dei contesti organizzativi e diversi per uomini e donne. Discriminazioni di genere nelle culture organizzative nella valutazione hanno influenzato caratteristiche individuali (come produttività e orientamento a candidarsi) in modo svantaggiante per le donne, seppure in modo diverso per ambito economico e sociale e culturale.

Nei programmi elettorali chiunque sia il o la capolista si dovrebbero porre obiettivi di democrazia reale e coerente con le aspettative di democrazia economica, per ottenere la qualità dei servizi e il contrasto alla corruzione politica, in un momento in cui la sfera pubblica — essenziale ad una concezione liberale della politica — trova compromessa dal pericoloso intreccio tra potere economico e potere ideologico la sua capacità di recepire e distribuire informazioni, di formare opinioni per compiere scelte equilibrate e prepararci ad affrontarne le sfide con la coerenza e la consapevolezza che le persone che votano una leader, si attendono che leader sia in Italia.

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