Ci sono notizie che passano quasi inosservate e che invece scaldano il cuore. Tre giorni fa, giovedì 12 dicembre, la signora Ilda ha compiuto cento anni e ha scelto di festeggiare il proprio compleanno in un modo inconsueto. Con grande entusiasmo è tornata in un luogo che ha molto amato: la fabbrica tessile non lontana da Biella dov’è entrata come operaia quando era un’adolescente e dove ha sempre lavorato fino alla pensione. Sarà pure un episodio particolare ma è anche l’ennesima dimostrazione dell’attaccamento che la maggior parte delle donne ha verso il proprio lavoro. Ma in Italia questo amore non è ricambiato come dovrebbe.
Lo dimostra con grande chiarezza “Donne e lavoro. Rivoluzione in sei mosse” (Post editori, 200 pagina, 22 euro), il libro più recente di Rita Querzè. L’approccio è analogo a quello di un’inchiesta meticolosa e puntuale, identico agli articoli che l’autrice scrive per il “Corriere della Sera”. E il risultato di questa indagine rivela una realtà desolante. Dopo trent’anni di belle parole sulla parità, alle donne resta solo un triste primato: a loro va soltanto la maggior parte dei contratti a termine e dei part time. Su tutto il resto la diseguaglianza resta abissale. Le cifre non lasciano dubbi. Circa metà della popolazione femminile è ancora tagliata fuori dal mercato del lavoro. Che abbiano un impiego oppure no fa poca differenza: sono comunque sempre loro a farsi carico del 70 per cento del lavoro domestico non retribuito. E fuori dall’ambito familiare la situazione non migliora granché. Resta un mistero imperscrutabile per quale maledetta ragione nelle aziende private, a parità di qualifica e di funzioni, le donne ricevano uno stipendio del 16,5 per cento inferiore a quello dei colleghi maschi. Ma anche dove almeno nominalmente c’è la parità salariale (come nella pubblica amministrazione) non è neppure il caso di parlare di vera uguaglianza. Le possibilità di carriera sono inferiori e solo il 20 per cento delle donne arriva a ruoli dirigenziali. Non dissimile (22 per cento) la percentuale di quelle che hanno potuto mettersi in proprio diventando imprenditrici.
Numeri alla mano è evidente che il problema è endemico e serve una terapia d’urto. Non basta accontentarsi delle quote rosa o di qualche spicciolo stanziato per gli asili nido. E il libro di Rita Querzè suggerisce alcune fondamentali linee d’intervento realizzabili anche con i fondi del Pnrr. Ma senza più indugi. Perché, per essere sinceri, la questione della parità non è femminile né femminista ma un’esigenza nazionale. Basta calcolare di quanti punti aumenterebbe il PIL se le donne fossero finalmente pagate come gli uomini. O stimare quante famiglie potrebbero permettersi di avere un altro figlio in un paese destinato a un inesorabile declino demografico. Sarà forse una pura illusione ma il fatto che adesso siano due donne a guidare i principali schieramenti politici accende qualche speranza che sia compresa l’urgenza di fare qualcosa di più e di meglio. E dopo tanti anni di parole a vuoto viene spontaneo chiedersi: “Se non ora quando?”.