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Giorgetti

Vi racconto le piroette di Renzi e Berlusconi per la danza del Quirinale

Che cosa succede fra centrodestra e Renzi? I Graffi di Damato

 

Guadagnatosi nella precedente edizione della corsa al Quirinale il ruolo di kingmaker con l’elezione di Sergio Mattarella, prelevandolo dalla Corte Costituzionale, Matteo Renzi cerca di pesare anche stavolta, nonostante non sia più da tempo il presidente del Consiglio, né il segretario del Pd ma il leader della più modesta Italia Viva, valutata meno del 2 per cento nei sondaggi ma forte di una cinquantina di voti – sulla carta – nell’assemblea congiunta dei deputati, senatori e delegati regionali. Rientra forse in questo tentativo di partecipazione l’incoraggiamento al centrodestra, raccolta al volo da Salvini, l’altro Matteo, che se ne sente il capo dopo il sorpasso elettorale eseguito nel 2018 su Forza Italia, a prendere l’iniziativa. Cioè a proporre un candidato e/o cercarlo con gli altri gruppi avendo il vantaggio di disporre -sempre sulla carta- del maggior numero di voti, insufficienti tuttavia all’autosufficienza.

Da kingmaker a suggeritore, e magari partecipe decisivo, alla fine, di una maggioranza ristretta ce ne corre. E non è detto che Renzi non ci riesca, vista la frammentazione di un Parlamento dove dall’inizio della legislatura hanno cambiato gruppo circa 250 dei 945 fra deputati e senatori eletti nel 2018.

Un trofeo comunque spetta già adesso al senatore di Scandicci: l’oscar della battuta in questa edizione della corsa al Colle più alto di Roma, avendo rappresentato Silvio Berlusconi, con tono presuntivamente amichevole, come il mitico Fantozzi sovrastato dalla nuvola di disturbo della sua festa. “Tutte le volte che vinceva le elezioni – ha detto Renzi di Berlusconi in politica dal 1994 – aveva la sfiga di non poter correre come presidente della Repubblica. Lui che è un uomo tra i più fortunati del mondo ha avuto questa nuvola di Fantozzi sopra la testa e la sente”.

Sotto o addirittura avvolto nella nuvola fantozziana, Berlusconi sembra avere quindi la solidarietà o comprensione del suo ex “royal baby”, secondo la definizione data di Renzi da Giuliano Ferrara negli anni del patto del Nazareno, rottosi proprio sull’elezione di Mattarella al Quirinale. Ma anche da “patriota” indicato da Giorgia Meloni, con riserva di verificarne “i numeri” in Parlamento, l’uomo di Arcore ha l’inconveniente di doversi guardare alle spalle, come si dice in queste occasioni ed hanno provato sulla loro pelle fori di predecessori come Amintore Fanfani ed Aldo Moro.

Il centrodestra avrà pure sulla carta – ripeto ancora, sino alla noia – il maggiore pacchetto di voti ma, oltre ad essere insufficiente anche per il quorum minimo della maggioranza assoluta, non è vaccinato né vaccinabile dal virus dei “franchi tiratori”. O “liberi pensatori”, come li ha recentemente chiamati Paolo Cirino Pomicino tradendo un certo orgoglio, avendone probabilmente fatto parte nelle votazioni presidenziali rigorosamente a scrutinio segreto nel 1992, quando era in ballo la candidatura dell’allora segretario della Dc Arnaldo Forlani e Giulio Andreotti a Palazzo Chigi aspettava più o meno tranquillamente il suo turno, che però non gli sarebbe mai arrivato.

Sotto la nuvola fantozziana Berlusconi è minacciato da “baruffe”, oltre che da “franchi tiratori”, a sentire il suo ex ideologo e ministro Giuliano Urbani. Che auspica la conferma di Mattarella, pur riservandosi ormai da spettatore di dirsi “contento” se Silvio dovesse fortunosamente arrivare al Quirinale, nonostante le obiettive difficoltà della scalata e gli scongiuri che ogni giorno si fa metaforicamente sul proprio giornale Marco Travaglio, dividendosi tra fotomontaggi, titoli e articoli a dir poco velenosi contro “il pregiudicato” troppo sfacciatamente ambizioso.

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