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Renzi

Vi racconto Matteo Renzi, detto mister Pendolo

Storia e cronaca di Matteo Renzi, fra egolatria, talento, ambizioni, piroette e giravolte. Il corsivo di Damato.

Morto il 22 luglio 2001 all’età di 92 anni, quando Matteo Renzi ne aveva 26 e lavorava col papà nella distribuzione dei giornali, non nella loro confezione, il toscanaccio Indro Montanelli non fece in tempo – né poteva ragionevolmente pretenderlo – a vedere le ascese e le discese del suo giovane corregionale. Che nel 2004, post-democristiano, sarebbe diventato presidente della provincia di Firenze, nel 2009 sindaco della stessa Firenze, nel 2013 segretario del Pd post-comunista e post-democristiano, nel 2014 anche presidente del Consiglio, nel 2017 sarebbe rimasto solo segretario del partito del Nazareno per avere perduto il referendum su una riforma costituzionale imprudentemente trasformata in una santabarbara, nel 2018 ne sarebbe rimasto solo senatore, nel 2019 pur di ridiventare capo di un partito ne avrebbe creato uno tutto suo chiamandolo Italia Viva, partecipe della maggioranza del secondo governo di Giuseppe Conte per uscirne nel 2021 spingendo Mario Draghi a Palazzo Chigi. E nel 2022 avrebbe improvvisato con Carlo Calenda un terzo polo equidistante fra il centrodestra e una sinistra, centrosinistra, o come altro si volesse e si voglia tuttora chiamarla, aspirante alla costruzione dell’alternativa al governo in arrivo di destra-centro di Giorgia Meloni.

Il resto non sto qui a ricordarlo minutamente perché è cronaca dei nostri giorni, o delle nostre ore, con Renzi che gioca a pallone con la segretaria del suo ex Pd Elly Schlein, le allunga una palla per uno sfortunato gol fuori gioco, cioè inutile, e contribuisce a crearci sopra, fra interviste e dichiarazioni, un nuovo scenario politico, almeno per sé. Quello di un campo addirittura larghissimo contro la Meloni, del cui governo tuttavia i suoi parlamentari approvano leggi importanti, significative e quant’altro come quella che porta il nome del ministro della Giustizia Carlo Nordio. Che elimina il reato di abuso d’ufficio, limita la diffusione delle intercettazioni riguardanti persone non direttamente coinvolte nel relativo procedimento penale, circoscrive l’appellabilità delle sentenze di primo grado e stringe le maglie del ricorso alla carcerazione durante le indagini: tutte cose orribili per una certa cultura e politica giustizialista che prevale nel campo dove l’ultimo Renzi – o il penultimo, conoscendone ormai la mobilità – vorrebbe o sarebbe tentato, diciamo così, di entrare dopo essersene tenuto alla larga.

Per tornare al compianto Montanelli e al suo mancato appuntamento con la carriera di questo suo corregionale che da ragazzo lo avrà probabilmente letto sul Giornale e sul Corriere della Sera, dove il grande scrittore fece in tempo a rientrare prima di morire, mi chiedo in questi giorni – avendolo conosciuto e praticato nel lavoro – come avrebbe reagito vedendo applicato appunto a Renzi, come da tempo si fa, il famoso “Rieccolo” da lui assegnato come soprannome ad Amintore Fanfani. Un altro toscano, o toscanaccio, abituato a cadere e a rialzarsi, a salire e a scendere, a scommettere per vincere o perdere in una sostanziale, quasi stoica indifferenza.

Temo – avendo, ripeto, anche lavorato insieme – che Montanelli avrebbe quanto meno storto il muso, come solo lui sapeva fare quando gli dicevi una cosa che non lo convinceva, o comunque egli vedeva qualcosa che non gli andava a genio. In quel “Rieccolo”, con la maiuscola come spetta ad ogni cognome che si rispetti, Montanelli ci vedeva qualcosa di toscanamente elogiativo. Non a caso Fanfani gli fu grato di quel soprannome e lo aiutò nel 1974, quando era segretario della Dc, ad allestire il suo Giornale dopo il licenziamento dal Corriere della Sera e una breve ospitalità concessagli da Gianni Agnelli sulla Stampa. In Renzi forse, anche per la troppo giovane età rispetto alla sua, Montanelli avrebbe visto più un modesto “Pendolo” che un valoroso “Rieccolo”. Ma posso sbagliare, per carità, e chiedere scusa a entrambi: al morto e al vivo. Anche se assai inutilmente al morto, e forse neppure utile al vivo, che me ne vorrà ugualmente. Io sono del resto lontanamente un pugliese, non un toscano, né intero come Renzi si ritiene con quel fisico, fuori e dentro un campo di calcio, che lo premia in tutte le foto o le riprese televisive, di ogni tipo ed emisfero, né “mezzo” come con perfidia si diceva di Fanfani mettendolo in croce per qualche centimetro in più negatogli dalla sorte.

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