Luca Zaia scende duramente in campo a favore del terzo mandato e spiazza tutti. Alleati di FdI e FI e probabilmente anche all’interno del suo stesso partito, la Lega. Ma non la sua Liga Veneta che era già sul piede di guerra contro l’ipotesi che non sia più lui il candidato o comunque non tocchi più a un leghista.
Smentendo il suo profilo diplomatico di democristiana memoria, poiché stavolta si tratta del suo Veneto, motore dell’Autonomia, ragione sociale della Lega, ma prima ancora del suo stesso mandato, quel Veneto che, insieme con gli elettori, come dice lui “viene prima di tutto, poi viene la Lega e poi il centrodestra”, il “doge” riporta indietro le lancette dell’orologio della partita. Una partita che sembrava avviarsi verso la rassegnazione da parte di Via Bellerio che non potesse essere più lui il candidato, al cui posto strappare comunque una candidatura della Lega, con l’appoggio dello stesso Zaia. Il quale però non ama giocare di rimessa su una questione così decisiva poiché attinente alla stessa natura identitaria della sua governance fondata sul raggiungimento dell’Autonomia.
Il governatore più votato d’Italia, da oltre il 70 per cento dei consensi, sfodera i panni del leghista duro e puro all’attacco del potere “romanocentrico” contro l’accusa degli alleati di aver fatto del Veneto un centro di potere personale, accusa che ritiene ingiusta e immeritata per sé e per la valanga dei suoi elettori. Alla quale controbatte ruvidamente: “È inaccettabile che parlino di blocco dei mandati e del rischio di centri di potere bocche che da trent’anni sono sfamate dal parlamento. Trovo assurdo che questa regola non sia uniforme per tutti”. “Sono certo che alla fine prevarrà il buonsenso, anche perché ci sono tutti i presupposti per una fibrillazione che potrebbe diventare pericolosa. In dieci mesi potrebbe accadere di tutto”, avverte Zaia.
Un monito da cui si evince anche che uno strappo in Veneto nella coalizione non lascerebbe intatti i rapporti nella stessa maggioranza di governo a livello nazionale. “La mia non candidatura farà felice un sacco di persone, ma i cittadini veneti si sono già espressi in modo inequivocabile. I veneti devono essere gli attori protagonisti della prossima legislatura. È impensabile che qui arrivi uno e dica: ‘sono io il candidato'”, va giù duro il “doge” che con il suo “Prima il Veneto”, lo slogan da lui coniato per la sua prima campagna elettorale del 2010, anticipò di fatto quel “Prima gli italiani” della nascita della Lega nazionale di Matteo Salvini.
La palla ora passa a lui, il leader leghista, vicepremier e titolare del Mit, nella partita forse più delicata con gli alleati, a cominciare dal premier, Giorgia Meloni, che nella conferenza di inizio d’anno aveva detto che la proposta di FdI di avere un candidato in Veneto (dove il partito prese il 37 per cento) andava presa in considerazione. Ma aveva anche premesso che come sempre la soluzione si sarebbe trovata in un dialogo con gli alleati.
“Vedrete, Giorgia troverà la quadra pure stavolta”, dicevano dentro FdI. Poi il colpo di scena dell’affondo del “doge” che fin da quando era un giovane amministratore a capo della Provincia di Treviso non ha mai smesso di stupire per una certa dose di fantasia. Abbattè alcuni costi utilizzando gli asinelli mandandoli a brucare per ripulire il ciglio delle strade. Zaia non è certo un passante per tutto il centrodestra.