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Qatar

I lobbisti aiutano anche le potenze del Golfo?

Chi sono i lobbisti italiani che lavorano per Arabia Saudita, Qatar ed Emirati Arabi?

 

L’area del Golfo sta acquistando sempre influenza in Europa. Questo accade anche in Italia. Si tratta di Paesi con una rinnovata dimensione geopolitica, ringalluzzita dalla crisi russa; paesi con una forte espansione in aree del mondo molto deboli dal punto di vista energetico. E l’Italia ha un posto in prima fila. La tanto sbandierata autonomia energetica dalla Russia rischia di diventare una nuova forma di dipendenza anche da paesi che in passato consideravamo meno di oggi: ci riferiamo al Qatar, all’Arabia Saudita o agli Emirati Arabi. Paesi le cui classi dirigenti tengono a fare bella figura, in tema di rinnovata immagine da proiettare oltre i confini nazionali, usando l’energia (ma non solo, perché ora assistiamo anche all’asset sportivo del calcio) per accrescere aree di influenza politica ed economica. Prendiamo il caso del Qatar che, a fine 2022, ha ospitato i Mondiali di Calcio, oppure dell’Arabia Saudita che ha varato un piano di sviluppo – Saudi Arabia’s Vision 2030 – per le fonti rinnovabili, al fine di distaccare la propria immagine dalle fonti fossili, da cui dipende totalmente il suo pil (in misura di circa il 75% negli ultimi anni).

L’ARABIA SAUDITA DOPO L’OMICIDIO KHASHOGGI

È risaputo che nell’epoca in cui viviamo l’immagine è (quasi) tutto e una buona reputazione passa anche dal nascondere i propri punti di debolezza, che sono dei veri e propri “buchi neri”, come il non rispetto dei diritti umani, che nel caso saudita, sono sfociati in un fatto assai squalificante per la Monarchia reale, ovvero l’uccisione, nell’ottobre 2018 ad Istanbul, del giornalista Jamal Khashoggi. Dietro questo fatto di cronaca si nasconde il sospetto che il giornalista sia stato ammazzato su mandato del principe ereditario Mohammed bin Salman, secondo quanto riportava un report dell’intelligence degli Stati Uniti.

Una buona immagine si rafforza anche grazie al lavoro all’estero delle proprie ambasciate, dalle pressioni che si possono esercitare legittimamente, attraverso piani di cooperazione, per esempio in ambito sanitario o universitario e scolastico. Ma chi supporta le Ambasciate di questi Stati, non proprio dal curriculum democratico? Chi sono gli italiani che supportano le autocrazie emergenti del Golfo?

Prendiamo l’esempio dell’Arabia Saudita e delle lobby pagate da Riad, alle quali Limes aveva dedicato un’analisi accurata, qualche anno fa, firmata da Dania Koleilat Khatib (traduzione a cura di Dario Fabbri), che prendeva in considerazione l’azione dei sauditi proprio negli Usa: “Vi sono enormi ostacoli di natura culturale che impediscono a Riyad di conquistare l’opinione pubblica; specie perché la realtà saudita, teocratica e monarchica, è ritenuta incompatibile con i valori americani. Spesso i politici statunitensi vivono con imbarazzo la loro relazione con Riyad, come capitato nell’ultima campagna presidenziale quando Donald Trump accusò Hillary Clinton d’aver preso soldi dall’Arabia Saudita ‘dove le donne sono perseguitate e i gay vengono lanciati dai precipizi’”.

MATTEO RENZI È L’UNICO LOBBISTA ITALIANO PER L’ARABIA SAUDITA

Ad oggi si conoscono pochissimi nomi che in Italia lavorano, dichiarandolo, per i paesi del Golfo. Uno su tutti è quello di Matteo Renzi, che da ex presidente del Consiglio, e attuale parlamentare, non ha esitato un minuto a vestire anche i panni del lobbista. Un caso di conflitto di interessi molteplice ed evidente, sottolineato anche da chi la lobby la esercita come mestiere riconosciuto apertamente. Si legge nel commento di Federico Anghelè: “Come facciamo a essere certi che Renzi e gli esponenti di Italia Viva, il partito ex di maggioranza da lui guidato agiscano in piena autonomia quando sono chiamati a occuparsi dei rapporti dell’Italia con l’Arabia Saudita? Ed è opportuno che un senatore nel pieno delle sue funzioni offra consulenze retribuite a un altro Paese?”.

Ma oltre a Matteo Renzi è molto difficile, se non impossibile, trovare notizie “open” o in chiaro su chi supporta le ambasciate di questi Stati. E qui l’interrogativo prende ispirazione del caso Renzi, per essere formulato sotto un altro aspetto: può un italiano mettersi al servizio di un altro Stato? Può un italiano che per professione ha accesso a dati riservati, come per esempio l’elaborazione di un disegno di legge, o di emendamenti ad una Legge di Bilancio, o di una bozza di un decreto governativo, lavorare per uno Stato straniero? Qual è il limite del soft power che uno Stato straniero può esercitare tramite chi esercita professionalmente il mestiere di lobbista?

VA BENE FARE I LOBBISTI PER UN ALTRO STATO?

La questione della lobby in Italia è stata sempre affrontata con notevole riguardo al tema della difesa di interessi aziendali o di categoria, di qualunque genere esse siano. Ma quando gli interessi sono di un altro Stato il tema cambia e si complica, notevolmente. L’interrogativo non rimanda all’esercizio della nobile professione del lobbista, ma del mettere a disposizione di Stati autocrati i propri servigi, avendo accesso a informazioni anche riservate dell’Italia.

Ad oggi non esiste un registro della trasparenza che attesti chi sono gli italiani che lavorano per uno Stato come Arabia Saudita, Qatar o Emirati Arabi. Prendiamo in esame la pagina sulla trasparenza del registro dei rappresentanti di interessi della Camera dei Deputati e non vi troveremo nulla di tutto ciò (almeno fino al 25 luglio 2023). Oppure ci troviamo di fronte allo stesso enigma che denunciava qualche mese la rivista Vita, che ha preso in esame l’attività di lobbying presso le istituzioni europee. Infatti il Registro europeo della trasparenza riporta moltissime entità tra agenzie di lobby, ong e associazioni no-profit. Dall’analisi di alcuni casi si sono dedotti dati interessanti, per esempio un’agenzia di lobby che, pur essendo presente nel Registro della rappresentanza di interessi Ue, aveva omesso di dichiarare il proprio lavoro per l’Arabia Saudita.

UN CASO DI LOBBY SAUDITA IN EUROPA

Possiamo leggere questo su Vita in un articolo dal titolo Fake-ong, lobbisti e Pr d’assalto, ecco l’astroturfing made in Ue: “Ad esempio, qualche anno fa la Ceo ha condotto un’indagine su una società di pubbliche relazioni che rappresentava l’Arabia Saudita, la quale era iscritta al Registro per la trasparenza, ma non aveva mai inserito l’Arabia Saudita tra i propri clienti nel registro. Pensiamo che questo possa accadere spesso, commenta Haar. Questo, secondo la Ceo, anche perché nell’Ue ‘c’è relativamente poca trasparenza per le reti di influenza dei governi stranieri, soprattutto se si confronta con qualcosa come il Foreign Agents Registration Act degli Stati Uniti, dove i governi stranieri e le loro società di consulenza sono tenuti per legge a pubblicare tutti i contratti, compresi i finanziamenti e i dettagli del lavoro svolto, e ci sono sanzioni effettive per i trasgressori (come abbiamo visto con Paul Manafort), spiega ancora Haar”.

UN EQUILIBRIO TRA ROMA, ARABIA SAUDITA E QATAR

Intanto i rapporti tra Italia e Arabia Saudita si stanno rafforzando, come dimostra anche un appuntamento che si è svolto al Mimit, Ministero del Made in Italy, il cui titolare è Adolfo Urso, che a Maggio ha incontrato una delegazione confindustriale saudita, come riportato dal sito istituzionale del dicastero di Via Veneto. Non sappiamo però se in quell’occasione i sauditi abbiano chiesto spiegazione di un interessante tweet che Urso scrisse l’8 settembre del 2019 a proposito del ruolo dell’Arabia Saudita nell’attacco dell’11 Settembre 2001, citando inchieste e report di un certo peso.

 

lobbisti

Di normalizzazione dei rapporti tra Usa e Arabia Saudita scriveva, con una certa nonchalance, invece la rivista Formiche, qualche mese fa; più attento al Qatar il sito di informazione Decode39 (versione in arabo e inglese delle rivista Formiche) interessato alle sorti della cooperazione Italia-Qatar che a quella con Riyad, come riporta in una serie di articoli sul tema, non ultimo la missione a Doha del Sottosegretario Maria Tripodi.

(Estratto di un articolo pubblicato su Policy Maker)

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