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Salvini

Lo strabismo del Pd sui putinisti

La nota di Paola Sacchi

 

A forza di ricercare reperti “archeologici” dell’era “filo-putiniana” di Matteo Salvini, che via via riaffiorano sui media con tentativi vari di classificazione (“sempre congetture, niente fatti concreti”, Pietro Senaldi, ieri su Libero quotidiano), a sinistra evidentemente non si erano accorti per tempo della mucca che avanzava in corridoio.

Ovvero, l’alleato, una volta per il Pd punto di riferimento massimo “dei progressisti” e ora, seppur con un Pd che si è ripreso la sua centralità nel centrosinistra, sempre l’alleato con “a” maiuscola del cosiddetto “campo largo”.

Giuseppe Conte, il presidente dei Cinque Stelle, l’ex premier di due opposti governi – prima con la Lega, poi con la sinistra, dal Pd a Iv di Matteo Renzi – è rientrato pesantemente in scena, facendo fibrillare gli equilibri in una sinistra che Enrico Letta ha schierato sulla linea netta dell’atlantismo. Ma ora che Conte in un video, alla vigilia del voto di riconferma che chiede al MoVimento per esser “scongelato”, da una sentenza di tribunale, da leader, conferma la minaccia di votare no in Senato al decreto Ucraina, che prevede l’invio delle armi (“No a un aumento massiccio delle spese militari a carico dello Stato”, parole che suonano no all’impegno confermato da Mario Draghi alla Nato del 2 per cento nella spesa per gli armamenti) sarà un po’ più difficile puntare sempre l’indice su Salvini.

Seppur il leader leghista anche ieri abbia ribadito la sua posizione critica sulle armi per l’Ucraina e abbia rimesso al centro le parole “di pace” del Papa: “Vedo uomini politici e di governo parlare con troppa facilità di armi”. Parole che però non sembrano far fibrillare il governo Draghi.

La Lega ha già detto sì al decreto Ucraina alla Camera e il capogruppo Massimiliano Romeo ha annunciato che farà la stessa cosa al Senato, seppur facendo una critica “costruttiva” ad alcuni “toni” usati nei giorni scorsi dal premier.

Ma, comunque sia, non sembra anche questa volta che la vera fibrillazione per il governo di emergenza nazionale possa venire dalla Lega. Nonostante una narrazione forzata che la mette sullo stesso piano dei Cinque Stelle, è proprio tra i pentastellati ed ex pentastellati, tra alleati ed ex alleati della sinistra che finora si sono verificate agli atti concreti del voto le faglie e i distinguo più pesanti, a cominciare dai no e dall’invito a staccare la spina al governo Draghi del presidente della commissione Esteri del Senato, il 5s Vito Petrocelli.

La mossa di Conte, che ha gelato un Pd in imbarazzo, ha suscitato la dura reazione della capogruppo di Iv alla Camera, Maria Elena Boschi che accusa Conte di “populismo ipocrita”, “di chi usa il dramma della guerra per un dibattito politico interno”, mentre “quando era premier voleva alzare le spese militari, e ora come capo grillino promette il contrario”.

Letta e Piero Fassino glissano e dicono che una soluzione si troverà. È molto improbabile che il governo cada, in una situazione internazionale di questo genere. Ma certamente se il centrodestra non gode come coalizione di buona salute, il centrosinistra sta mostrando tutte le sue contraddizioni. Di fronte, l’incognita delle Politiche del 2023, in uno scenario internazionale mutato dalla Guerra.

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