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Libia

Libia, ecco cosa succede al premier Sarraj. L’analisi di Mercuri

Il punto sulla Libia dopo le indiscrezioni su possibili dimissioni del premier Sarraj. Conversazione di Start Magazine con Michela Mercuri, analista, docente e autrice del saggio “Incognita Libia”. 

 

Ieri dalla Libia è giunta una notizia non priva di interesse per le sorti del paese nordafricano: il premier del governo di Accordo Nazionale Fayez al-Sarraj è intenzionato a dimettersi e a farlo prima delle delicate trattative di Ginevra, dove si tenterà per l’ennesima volta di ricucire i fili del Paese.

Per cercare di fare il punto su questi fatti, Start Magazine ha sentito Michela Mercuri, analista e docente nonché autrice del saggio “Incognita Libia”. 

Mercuri, che cosa succede a Sarraj?

Si tratta di indiscrezioni e voci che potrebbero trovare conferma nei prossimi giorni e rimandano a questioni di ordine personale e politico. Persone vicine a lui hanno fatto trapelare la notizia che lui sia interessato a lasciare l’incarico per andare a Londra, dove si trova la sua famiglia. Lui è poi sicuramente provato dalla guerra civile e dai successivi scontri di potere che ci sono stati negli ultimi tempi, come quello con Ahmed Maitig che potrebbe essere la figura di transizione selezionata per il nuovo corso politico. Questo per quanto riguarda il piano personale.

E sul piano politico?

Le considerazioni che possono essere fatte da questa notizia, che sia veritiera o meno, è che ormai il governo dell’Ovest si è spaccato tra Tripoli e Misurata. Proteste sono dilagate nel paese sia in Tripolitania che in Cirenaica e questo sicuramente ha reso più labile la posizione di Sarraj e di tutti gli altri membri del Governo di accordo nazionale. Non vedo collegamenti con le dimissioni avvenute pochi giorni prima del governo dell’Est non riconosciute dall’Onu perché anche questi fatti sono dettati dal malcontento popolare; mancano i soldi, mancano l’elettricità, per cui la protesta probabilmente andrà avanti fino a quando non si sarà trovato un accordo per la spartizione delle risorse del petrolio libico.

Come si stanno comportando in questo momento le potenze esterne coinvolte nel conflitto?

In questo momento tutte le potenze regionali e internazionali coinvolte a vario livello nel teatro libico hanno interesse a stabilizzare il paese per motivazioni che riguardano i loro interessi nazionali. Pensiamo alla Turchia, l’attore maggiormente coinvolto e che sembra più bellicoso: a mio parere, Ankara ha tutto l’interesse alla stabilizzazione della Libia, da tanti punti di vista. In primo luogo ha ottenuto una base a Misurata con una concessione di 99 anni. Poi ha intascato la base aerea di al Watiya. In questo modo la Turchia ha ottenuto una proiezione geopolitica nel Mediterraneo orientale e nel Nordafrica di tutto rispetto. La Turchia ha poi interesse ad una pacificazione del quadro libico perché vorrebbe riavere i crediti residui risalenti all’era di Gheddafi, ossia in un periodo in cui le aziende turche erano molto presenti nel paese.

E le altre potenze?

Anche la Russia avrebbe vantaggio a congelare la posizione che ha in Libia, essendosi ben piazzata militarmente. Pure l’Italia, che ha investimenti in Libia e crediti da riscuotere, è interessata ad una pacificazione e a una ripresa dell’economia anche dal punto di vista energetico. Anche la Francia ha tutto l’interesse ad una stabilizzazione del quadro interno, anche da un punto di vista di allure diplomatica perché Parigi non vuole restare all’angolo nel negoziato che in questo momento stanno portando avanti Washington e Berlino.

Quali sono i prossimi passaggi chiave?

Adesso dobbiamo attendere i risultati della trattativa di Ginevra, che si svolgerà il mese prossimo e vede in ballo condizioni molto complesse per la stabilizzazione politica del paese come la formazione di un governo di unità nazionale e l’indizione delle elezioni. Sappiamo che non è la prima volta che si stila una road map per la Libia e io credo che se si vogliono evitare gli errori dei tentativi precedenti sarà indispensabile ottemperare a due condizioni. Innanzitutto, a Ginevra si dovrà lavorare per una ripresa dell’economia, perché se il petrolio della Libia non tornerà a sgorgare non ci potrà essere alcuna pacificazione interna. E poi bisognerà capire quali sono le intenzioni degli Emirati Arabi Uniti, che è l’unica potenza rimasta a sostenere Haftar, il quale continua a proclamarsi ostile ad ogni soluzione di pace proposta.

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