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Le vere sfide (economiche e geopolitiche) di Matteo Salvini con la Lega. Il commento di Polillo

Matteo Salvini? Un conto è essere il leader di una forza politica del 17 per cento. Un altro è rappresentare con la Lega il 34 per cento dell’elettorato. L'analisi di Gianfranco Polillo

 

Una delle principali sfide di Matteo Salvini non è solo vincere le elezioni, quando, finalmente, lo scettro tornerà al popolo. Ma cambiare se stesso. Due facce di una stessa medaglia. Un conto è essere il leader di una forza politica del 17 per cento. Un altro è rappresentare il 34 per cento dell’elettorato. Un mondo composito che non ha più le caratteristiche del vecchio radicamento sociale. Citando il vecchio Engels, nell’interpretazione datagli da Joseph Stalin (“Materialismo dialettico e materialismo storico”), ovviamente più che discutibile sul terreno dell’approccio filosofico, vale la pena ricordare che “un aumento o una diminuzione puramente quantitativa provoca, in punti nodali determinati, un salto qualitativo”. E che i quindici mesi del passato governo, vissuti pericolosamente, contengano molti di questi “punti nodali” è tesi difficilmente contestabile.

Se il Capitano riuscirà in questa impresa, potrà competere con il suo principale avversario. Che, in prospettiva, non è Nicola Zingaretti o Luigi di Maio, ma l’altro Matteo. Che è stato il vero artefice della svolta. Mostrando una capacità manovriera di tutto rispetto, fu Renzi ad impedire, all’indomani delle elezioni politiche, l’alleanza del Pd con i 5 stelle. Facile comprenderne i motivi. Quell’abbraccio, dati i diversi rapporti di forza, poteva risultare mortale. Cambiato il quadro politico, all’indomani delle elezioni europee, quello che in precedenza era risultato impossibile, lo è diventato. Ma non per questo la sua strategia si è esaurita. Al contrario, uscendo dal Pd e dando luogo alla formazione di un nuovo movimento, “Italia Viva”, ha, di fatto, resa più debole e precaria, quella maggioranza parlamentare che, con la sua determinante iniziativa, aveva contribuito a creare. Chapeau.

Matteo Salvini dovrà, quindi, tener conto di questi sommovimenti. Riflettendo, innanzitutto, sulle caratteristiche del suo radicamento sociale. Il Nord rimane la sua roccaforte. Polmone dell’Italia che cresce, di cui la componente export è il motore principale. Nel 2018, secondo l’Istat, il 73 per cento delle esportazioni italiane provengono da questi territori. Destinazione il mondo, ma soprattutto l’Europa (57 per cento del totale) e gli Stati Uniti (10,3 per cento). In Cina le esportazioni sono pari al 2,7 per cento della torta, ancor meno (1,7 per cento) nella Russia di Putin. Sono elementi che pesano nello sviluppo della possibile politica estera. Ragioni geopolitiche, avrebbe detto Giancarlo Giorgetti, che fanno aggio su quelle solo politiche. Quindi attenti alla collocazione occidentale della Lega. Rompere con gli Stati Uniti o con l’Europa significa, al di là di ogni altra considerazione, segare il ramo su cui è seduta l’intera economia nazionale.

Naturalmente questo non significa negare l’importanza della Russia di Putin. Un’Ostpolitik italiana è sempre possibile. La sperimentò Willy Brandt nel periodo più aspro della guerra fredda. Ma la politica del Cancelliere tedesco fu sempre borderline. Non mise mai in discussione l’appartenenza della Repubblica federale tedesca al blocco occidentale. Le sue aperture furono più o meno concordate con il Dipartimento di stato americano, oltre che con gli alleati europei, trasformandosi in una sorta di atout per l’intero schieramento atlantico. Contribuendo, se non altro, a contenere le politiche più aggressive del suo rivale.

Ed ecco allora i primi elementi di riflessione. Le incertezze circa la permanenza nell’euro, se pure comprensibili nel momento in cui la Lega doveva crescere politicamente, oggi rappresentano un handicap particolarmente pesante. Salvini ha mostrato di comprendere i rischi di questa posizione. Nel corso del tempo, certe asprezze si sono attenuate, ma la revisione, che è lecita attendere, non si è ancora compiutamente realizzata. Alcune proposte azzardate da parte di alcuni esponenti di primo piano della sua formazione politica, come la creazione dei mini-bot, o le intemerate contro i “poteri forti” che schiacciano i popoli, non hanno certo contribuito a fare chiarezza.

Chiedere un approfondimento non è un’accusa di lesa maestà. Che le cose in Europa non vadano è del tutto evidente. Ma tra il proporre il necessario – insistiamo sul necessario – cambiamento e ipotizzare forme di dissoluzione “modello Brexit”, esiste un abisso incolmabile. E’ tempo, quindi, di giungere al necessario chiarimento: possibile solo se la Lega saprà darsi un gruppo dirigente che sia espressione di quel blocco sociale molto più esteso che Matteo Salvini, nelle elezioni europee, ha saputo conquistare e rappresentare. Altrimenti il riflusso sarà inevitabile.

Le radici del movimento sono quelle che sono. La Lega delle elezioni politiche italiane aveva un gruppo dirigente formatosi per certificare la discontinuità rispetto alla Lega di Bossi. Comprensibile. Superare la vecchia guardia era un’operazione di trasparenza rispetto ad una storia precedente, segnata, tra l’altro, da episodi poco edificanti ed indagini giudiziarie. Il rinnovamento era, quindi, indispensabile. Ma la stessa metodologia dovrebbe essere seguita, all’indomani del voto europeo, che ne ha trasformato ed in modo ben più radicale le precedenti caratteristiche.

Alcuni riferimenti culturali, che sono divenuti tratti distintivi, come lo stesso termine “sovranismo”, mantengono un forte alone di ambiguità. Che significa? E’ il velleitario nazionalismo d’antan (l’imperialismo straccione del ‘900) o “l’Italy first”: vale a dire la difesa degli interessi nazionali? Cosa sacrosanta. Ha il volto di Julus Evola, come molti critici sostengono, o è la sola derivata di una travagliata storia nazionale, in cui ecumenismo, da un lato, ed internazionalismo proletario dall’altro, hanno spesso preso il sopravvento, fino a configurare quella “morte della patria” di cui scriveva Ernesto Galli della Loggia? Domande che attendono una risposta, se la “nuova” Lega vuole essere la protagonista di un possibile futuro.

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