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Bahrein

Le ricadute tech dell’accordo fra Israele, Emirati e Bahrein (un successo di Trump). Parla Bianco

Quali e quanti sono gli interessi di Emirati e Bahrein nello sviluppo di normali relazioni economiche con Israele? L'approfondimento di Start Magazine con l'analista Cinzia Bianco (European Council on Foreign Relations)

Martedì sullo sfondo dei marmi della Casa Bianca campeggiava una scena iconica e insieme storica: le bandiere di Israele, Emirati Arabi Uniti, Bahrein e Stati Uniti issate una accanto all’altra.

Gli accordi di Abramo, con la normalizzazione dei rapporti tra Israele da un lato e Emirati Arabi Uniti e Bahrein dall’altro, rappresentano senz’altro uno dei risultati più tangibili in politica estera dell’amministrazione Trump, che è riuscita a rompere uno dei tabù più granitici al mondo.

Ma come si è giunti a questo esito? Quali e quanti sono gli interessi di Emirati e Bahrein nello sviluppo di normali relazioni con Israele? E soprattutto, a questa prima ondata ne seguirà una seconda?

Start Magazine ha posto le domande all’analista italiana che meglio di altri conosce le dinamiche politiche del Golfo Persico, che studia e divulga in qualità di analista all’European Council on Foreign Relations: Cinzia Bianco.

Come si è arrivati a questa “esplosione di pace” tra Israele, gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein?

L’amministrazione di Donald Trump sta chiaramente spingendo quelli che considera i suoi alleati arabi a muoversi verso la normalizzazione dei rapporti diplomatici con Israele. Quello di facilitare la posizione regionale di Israele è un obiettivo che risale agli inizi della presidenza di Trump: già nel 2017, il presidente e il suo genero e consigliere prediletto, Jared Kushner, avevano cercato di coinvolgere Emirati Arabi Uniti (EAU) e Arabia Saudita come attori fondamentali nella strategia dietro al “Deal of the Century”. Sebbene Abu Dhabi e Riad avessero accolto l’invito, negli anni hanno dimostrato entrambe l’incapacità di portare a termine la missione, ovvero di convincere altri paesi arabi a sottoscrivere l’accordo del secolo. Trump ha dunque cambiato strategia, passando direttamente a chiedere una normalizzazione bilaterale.

Perché gli EAU sono stati gli apripista?

Con gli EAU è stato facile: Abu Dhabi desidera rafforzare il coordinamento con Israele, specialmente negli ambiti tech e cyber, e nel confronto contro Turchia e Iran. Il leader emiratino di fatto Mohammad bin Zayed inoltre sa che ufficializzando questa normalizzazione con Israele il 13 agosto, ha accresciuto la sua già fortissima posizione a Washington, e che questo capitale politico è spendibile anche sotto un’eventuale amministrazione Joe Biden. Difatti Mohammad bin Zayed non vuole legare questa mossa unicamente alla figura di Trump, e per questo non si è recato di persona alla cerimonia della firma nella Casa Bianca.

E con il Bahrein?

La prima cosa da dire è che il Bahrein ha sempre avuto delle relazioni, non ufficiali ma intense, con gli israeliani. Si può dire che il Bahrein era l’unico porto mezzo sicuro per loro nel Golfo. Per questo si pensava che sarebbe stato proprio il Bahrein il primo a riconoscere ufficialmente Israele. L’altra cosa da dire è che il Bahrein si muove solo con la luce verde dell’Arabia Saudita, e questa luce verde deve essere arrivata credibilmente con la visita di Jared Kushner in Arabia Saudita poche settimane fa. La differenza vera con gli Emirati è che con quest’ultimo Israele siglerà molti accordi commerciali e svilupperà un’intensa cooperazione soprattutto sul cyber e l’AI. Questa è una cosa che rimarrà molto marginale con il Bahrein.

Lei pensa che seguiranno altre normalizzazioni?

Le reazioni a questi accordi negli altri paesi del Golfo, invece, chiariscono come questo domino di normalizzazione nel Golfo molto probabilmente finirà qui. In Kuwait e Oman la reazione della società civile e dei gruppi pseudo-politici è stata di nettissimo rifiuto. Il Qatar, oramai in tutto e per tutto dipendente dalla Turchia, non ha potuto che accordarsi alla retorica ipocrita di Ankara – la quale ha rapporti diplomatici consolidati con Tel Aviv – ma che, dato il coinvolgimento strategico dell’arcinemico emiratino, vede questi accordi come il tentativo di rafforzare il fronte anti-turco.

E con l’Arabia Saudita?

Con l’Arabia Saudita l’impresa è decisamente più difficile: per Riad normalizzare i rapporti con Israele è mossa decisamente più complicata, data la sua maggiore complessità politica interna, le sue aspirazioni di leadership regionale e la sua delicata posizione come leader del mondo musulmano. Semplicemente, ad oggi, mancano i giusti incentivi e le giuste condizioni. Il Principe della Corona Mohammad bin Salman da mesi prepara la sua transizione delicata sul trono, mentre il padre, Re Salman, un uomo della vecchia generazione, è veementemente contrario a qualsiasi ammorbidimento con Israele. Quello che Riad ha potuto offrire è la luce verde per la normalizzazione tra Israele e il piccolo Bahrein, legato a doppio filo all’Arabia Saudita.

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