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Germania

Che cosa studia la Germania per riattivare il centro delle città

Il secondo lockdown sta avendo ripercussioni gravi anche sul commercio al dettaglio e la Cdu studia come riattivare la vita del centro città

 

Sono tempi difficili per i centri cittadini, sempre più svuotati a causa delle ripetute chiusure di negozi, bar e ristoranti per i lockdown decretati contro la pandemia. Anche in Germania, di fronte all’aumento dei contagi e al fallimento della strategia di contenimento (il lockdown light) perseguita in autunno dal governo Merkel e dai presidenti dei Länder, dal 16 dicembre sono state introdotte misure ancor più restrittive, tra cui la chiusura della maggior parte dei negozi di vendita al dettaglio, almeno di quelli che non forniscono beni di stretta necessità, come alimentari, farmacie e drogherie.

Le città si sono svuotate in pieno periodo di shopping natalizio, un colpo aggiuntivo rispetto ai vuoti causati dalle chiusure dei luoghi di ristorazione, dei musei, dei teatri e all’assenza ormai prolungata dei turisti, causata da un lato dalle accresciute difficoltà di spostamento, dall’altra dalle forti limitazioni imposte agli albergatori (permessi solo i viaggi di lavoro).

Il secondo lockdown sta avendo ripercussioni gravi anche sul commercio al dettaglio, e le organizzazioni di categoria non sono state per nulla tranquillizzate dal meccanismo di risarcimenti ideato dal governo (sostegno per i costi fissi in proporzione al fatturato dello stesso mese del 2019). C’è preoccupazione nella Cdu, il partito di Angela Merkel che andrà fra tre settimane a congresso per eleggere il nuovo presidente, giacché questa particolare categoria di esercenti, che oggi si sente trascurata anche rispetto ad altre categorie colpite dalle chiusure, costituisce un tradizionale bacino elettorale.

Così il gruppo parlamentare del partito si è messo al lavoro e ha elaborato un “piano per la vita dei centri cittadini”, il cui nucleo centrale è la creazione di un fondo apposito da destinare al mantenimento in vita di queste strategiche aree urbane. Un piano che in qualche modo prova a strizzare l’occhio anche ai negozianti.

La novità più eclatante è che a riempire questo fondo dovrà essere in primo luogo una tassa sul commercio online, calcolata in rapporto al numero di ordini ricevuti. L’ammontare della somma dovrà poi essere versata dai negozi online direttamente al fisco, mentre resta a discrezione dell’esercente digitale decidere se questa nuova gabella debba essere poi riversata sul consumatore finale, attraverso l’aumento del prezzo finale del prodotto.

La tassa sui negozi online è uno dei canali da attivare per il “fondo per i centri cittadini”. L’altro è naturalmente la tassazione generale, cioè i soldi dei contribuenti. Il pacchetto studiato dai parlamentari della Cdu prevede anche l’aumento dei contributi di aiuto per il commercio al dettaglio già annunciati dal governo, facilitazioni per l’accesso da parte dei negozianti tradizionali alle linee di credito e anche alleggerimenti di natura fiscale.

La proposta più controversa del piano, la tassa sul commercio online, viene giustificata con l’idea che in tal modo i rivenditori online condividerebbero i costi dell’infrastruttura comunale che utilizzano, eliminando lo squilibrio che si è creato rispetto ai venditori al dettaglio stazionari. Questi ultimi, con le varie tasse che gravano sui negozi, già contribuiscono in maniera significativa alla vivacità dei centri urbani, anche in questa fase in cui devono subire gravi perdite economiche per le chiusure obbligatorie. I promotori del fondo assicurano poi che nulla di quanto incassato attraverso la tassa online resterebbe nelle casse federali.

Il primo dei firmatari della proposta, il vice-capogruppo della Cdu Andreas Jung, ha difeso con una certa enfasi retorica il progetto dalle critiche: “Non possiamo restare a guardare impotenti come sempre più centri urbani appassiscano”, ha detto al quotidiano Die Welt, “si tratta di salvare il cuore delle nostre città e delle nostre comunità e in fondo quello della nostra patria”. Jung ha ribadito come i negozi online, oggi favoriti dal lockdown nei loro commerci, debbano essere chiamati al finanziamento delle infrastrutture cittadine, che pur utilizzano: “Ognuno deve accollarsi un pezzetto di questa crisi”. E la Cdu vuole evitare che alla fine uno dei suoi pilastri elettorali – il piccolo commercio – se ne debba accollare una parte insostenibile. “L’impresa online paga, il negoziante al dettaglio ne approfitta”, ha detto un altro firmatario, il deputato Christian Haase, “così si elimina finalmente uno squilibrio e si ristabilisce una concorrenza ad armi pari”.

Che il commercio online possa entrare nel mirino di nuove forme di tassazione lo dimostra anche l’appello lanciato qualche giorno fa dal presidente del Nord Reno-Vestfalia Armin Laschet, il candidato favorito per la guida della Cdu al congresso digitale di metà gennaio e che potrebbe quindi diventare il prossimo cancelliere tedesco dopo le elezioni di settembre 2021. Laschet, ordinando la chiusura dei negozi nell’ambito del secondo lockdown, aveva invitato i cittadini della sua regione a non fare acquisti natalizi attraverso Amazon e altri esercizi online, ma a regalare sotto l’albero dei buoni che si sarebbero poi potuti spendere nei negozi fisici quando sarà possibile riaprirli.

A spazzare i toni autarchici di questa campagna politica ci pensa un corsivo dell’Handelsblatt, che prende di mira proprio i ritardi del commercio tradizionale. La crisi pandemica ha messo in evidenza quanto il settore del commercio abbia dormito di fronte all’innovazione, ha scritto il quotidiano economico. Il fatto che esso debba ora combattere per la propria sopravvivenza non è solo dovuto alle conseguenze del virus, ma il risultato di un processo visibile da anni e verso il quale non si è esenti da colpe. La dominanza di Amazon non è una legge di natura, piuttosto la conseguenza dell’inazione del settore commerciale tedesco. Eppure ci sarebbero stati potenziali concorrenti del colosso americano, a cominciare dai nomi dei grandi magazzini Karlstadt e Kaufhof. Sono stati sempre una sorta di piazza di mercato, ma non sono riusciti a trasferire in maniera innovativa online questa loro funzione. Ecco perché ora lottano per la sopravvivenza, conclude Handelsblatt.

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