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Tunisia

La vera posta in gioco per Giorgia Meloni

Come si muoverà Giorgia Meloni a Palazzo Chigi? L'analisi di Gianfranco Polillo

 

L’invito (specie alla sinistra) a non tranciare giudizi prematuri sull’attuale Governo è cosa talmente ovvia da apparire quasi banale. Una prudenza giustificata dall’esperienza. Quante volte teoremi, che sembravano inattaccabili, alla luce dei fatti, si sono poi dimostrati totalmente sbagliati? Principio che vale in quasi tutte le discipline, ma che nel caso della politica, considerato il suo carattere eminentemente empirico, ha una valenza ancora maggiore. Lasciamoli quindi lavorare, quelli del Governo, per poi giudicare i risultati raggiunti. I più intransigenti sono invece pronti, fin da ora, ad anticipare il verdetto.

Che serve aspettare?: questa la motivazione. I vari personaggi, chiamati alla direzione dei vari Ministeri, sono ben noti. Che cosa volete aspettarvi in più da un Salvini o da una Bernini? Anzi la configurazione complessiva del Governo é tale da smentire clamorosamente le premesse stesse, più volte enunciate da Giorgia Meloni, circa la necessità di formare un “esecutivo autorevole e di alto livello”. Giudizio almeno intempestivo, se non proprio ingeneroso.

Alla base di queste considerazioni, un errore soprattutto di metodo. Il giudizio sui singoli Ministri non può basarsi solo sulla loro storia personale. Nel corso delle rispettive carriere, ciascuno di essi, ha fatto un mestiere diverso. Antonio Tajani, ad esempio, é stato un ottimo commissario, nonché presidente del Parlamento europeo. Sarà anche un grande ministro degli Esteri? Giancarlo Giorgetti, a sua volta é stato per anni Presidente della commissione bilancio della Camera. É stato anche capo del Mise. Ma la valenza internazionale del Mef è tale da mettere in ombra le passate esperienze. Per rimanere in tema, Roberto Gualtieri, l’attuale sindaco di Roma, come presidente della Commissione per i problemi economici e monetari del Parlamento europeo é stato eccezionale, ma come Ministro dell’economia del Governo Conte II, non ha certo brillato. Sotto la sua guida il debito pubblico italiano ha subito un balzo di oltre 20 punti di Pil. Il più alto dal 1980, secondo i dati della Banca d’Italia. La caduta del Pil la più rovinosa dell’Eurozona. Risultati non certo esaltanti.

Poi bisognerà considerare le new entry. Ministri, come Carlo Nordio, ottimo magistrato e profondo conoscitore dei meccanismi della giustizia italiana. Ma anche in questo caso quella è solo la premessa. Per riformare una macchina arrugginita, dove le varie corporazioni la fanno da padrone, la sola conoscenza del terreno di gioco é condizione necessaria, ma non sufficiente. All’indubbia perizia tecnica occorrerà sommare senso politico, per giungere ad una strategia capace di incidere realmente su quell’antico bubbone.

Potremmo continuare, analizzando le posizioni di ciascun Ministro, ma non ne vale la pena. Anche perché vi sono considerazioni più importanti, che riguardano proprio il Presidente del consiglio. La storia politica di Giorgia Meloni é fin troppo nota. Fino a ieri, cioè prima del giuramento, era facilmente decifrabile. Al punto che parte della stampa ed opposizione non avevano perso tempo a classificarla, come variante italiana del caso polacco. Tratti distintivi: atlantismo, sovranismo, rispetto della tradizione.

Che cosa é cambiato nei tempi più recenti? La risposta è: la sua constituency. Prima delle elezioni quei valori rappresentavano un piccolo universo identitario, nel solco della più antica tradizione della destra italiana. É stata la semplice riaffermazione di quei valori a spostare milioni di elettori: dal 4/5 per cento del 2018 (secondo i sondaggi di quell’anno) al 26 per cento dello scorso 25 settembre; o qualcosa di diverso? Questo é il punto centrale su cui la stessa Meloni deve riflettere. Se ritiene, infatti, che quel 26 per cento sia il suo “zoccolo duro” (copyright di Achille Occhetto), allora non dovrà fare altro che continuare come sempre ha fatto. Ma se, al contrario, ritiene di aver catalizzato, intorno alla sua persona, forze e culture diverse, cambiare sarà inevitabile. Il problema assume allora uno squisito significato cognitivo.

Qual è stato finora il comportamento elettorale degli italiani e perché? Gli indizi sono sotto gli occhi di tutti. Alle elezioni europee del 2014 gli elettori premiarono Matteo Renzi con il 40,8 per cento dei voti. Salvo poi negargli la fiducia nel referendum costituzionale del 2016. Alle successive elezioni politiche del 2018, fu la volta dei 5 stelle che ottennero oltre il 32 per cento dei voti. Salvo perdere quasi tutto alle successive elezioni europee del 2019, a favore della Lega, che ottenne il 34,3 per cento dei suffragi. Un susseguirsi, come si vede, di speranze e delusioni. Come si spiegano queste violente oscillazioni? Gli italiani sono diventati talmente volubili, da rasentare l’anarchia o non sono invece alla ricerca di una soluzione, non diciamo ottimale, ma tale che li faccia uscire dalla palude in cui, loro malgrado, sono da tempo finiti? A secondo se si accetterà o meno questa impostazione, le risposte non potranno che essere diverse. E Giorgia Meloni, in quanto, capo di un Esecutivo, che rappresenta l’intera Nazione, ed un suo elettorato più che composito, non potrà non tenerne conto, e comportarsi di conseguenza. Se non vorrà fare la fine di coloro che l’hanno preceduta. Questa quindi la vera portata della posta in gioco. Con qualcosa in più rispetto ai mesi passati.

L’invasione dell’Ucraina ha rappresentato, anche per i più nostalgici, la morte definitiva del comunismo. Con Putin che celebra Stalin e condanna Lenin. Ma quel funerale si é portato dietro anche la definitiva scomparsa del fascismo dagli schermi della contemporaneità. Fenomeni, entrambi, da affidare ai libri di storia. Giorgia Meloni ha quindi il difficile compito di archiviare definitivamente i mostri del ‘900. Ma per farlo deve aprirsi completamente alle diversità presenti nel suo elettorato, cercando la sintesi necessaria, anche a costo di mettere tra parentesi i suoi più antichi valori identitari.

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