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Giorgetti

Chi ha paura di Carlo Nordio alla Giustizia

Carlo Nordio di Fratelli d'Italia diventerà il prossimo ministro della Giustizia? I Graffi di Damato

 

Anche nei tribunali il prossimo inverno sarà naturalmente più freddo del solito non solo – come vedremo – per il razionamento energetico che sta imponendo, con la sua guerra all’Ucraina e dintorni, quella reincarnazione di Pietro il Grande che si sente Vladimir Putin. Ma non solo, dicevo. Potrebbe fare più freddo nei tribunali italiani anche, e forse ancor di più per la minaccia già avvertita e in qualche modo denunciata fra le toghe più sindacalizzate e politicizzate di ritrovarsi ministro della Giustizia l’ex magistrato Carlo Nordio. Che, da qualche tempo in pensione, si è già affacciato in qualche modo a Montecitorio col suo nome scandito per 64 volte il 29 gennaio scorso, come candidato del partito di Giorgia Meloni, nel settimo ed ultimo scrutinio per la successione a Sergio Mattarella, cioè per la sua conferma.

Nordio guardasigilli, in un governo presieduto dalla stessa Meloni che naviga ormai verso la vittoria elettorale del 25 settembre, salvo imprevisti naturalmente, farebbe rimpiangere Marta Cartabia da parte di chi l’ha combattuta sin dal primo momento, anche per scongiurarne una destinazione ancora più in alto: al Quirinale, e quindi pure alla presidenza del Consiglio Superiore della Magistratura.

Nordio, debbo dire, non fa proprio nulla per non lasciarsi temere dai suoi critici ed avversari. Egli ha appena riproposto, anche a costo di sorprendere qualcuno fra gli stessi fratelli d’Italia della Meloni, il ripristino dell’immunità parlamentare ridotta nel 1993 da un Parlamento intimidito – diciamo la verità – dalla popolarità e dalle manette di magistrati decisi a rivoltare il Paese come un calzino. Ora a rivoltarlo come un pedalino, versione romanesca del calzino, anch’esso comunque menzionato dall’interessata per essere capita meglio nella piazza dove parlava, si è proposta proprio Giorgia Meloni. Vedremo se ce la farà, o solo se riuscirà a tentarlo vincendo davvero le elezioni, ottenendo l’incarico di presidente del Consiglio, proponendo la nomina di Carlo Nordio a ministro della Giustizia e ottenendola dal presidente della Repubblica.

Il paradosso della politica italiana che bisticcia da tempo col vocabolario, per cui il bipolarismo – appena certificato addirittura dall’ufficio elettorale della Cassazione dopo il deposito delle liste nelle varie Corti d’Appello- in realtà è più di parola che di sostanza, vuole che l’alternativa a Nordio sia già stata individuata dai suoi critici all’interno dello stesso centrodestra. È un’alternativa anche di genere: la leghista Giulia Bongiorno, portata in politica a suo tempo da Gianfranco Fini. Ad essa l’ex parlamentare di destra Amedeo Laboccetta ha appena rimproverato sul Dubbio di avere praticamente boicottato come presidente della Commissione Giustizia della Camera la riforma della giustizia perseguita dall’allora presidente del Consiglio Silvio Berlusconi. Erano tempi in cui lo stesso Fini si lasciava scoprire in quasi amichevole conversazione con un procuratore della Repubblica sui guai giudiziari del capo del governo, che poi avrebbe cercato di rovesciare a Montecitorio con una mozione elaborata dai fedelissimi nel suo ufficio di presidente.

Giulia -chiamiamola pure col nome come Giorgia grida di se stessa la Meloni quando si presenta al pubblico- avrebbe tante ragioni come avvocato di meritato successo per non piacere ai magistrati di garantismo scadente, ma preferisce ogni tanto accarezzarne il pelo. Così ha appena riconosciuto ai pubblici ministeri la ragione di temere la dipendenza dal governo e ha contestato come inattuale, quanto meno, un ripristino dell’immunità parlamentare per restituire alla politica ciò che le avevano concesso i costituenti. I quali erano consapevoli certamente dell’abuso che potevano farne i parlamentari ma anche, o ancor più, di quello che avrebbero potuto fare del loro ruolo i magistrati occupandosene senza chiedere l’autorizzazione alla Camera di appartenenza.

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