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Pensionati Cinesi

La rivolta dei pensionati cinesi

Le amministrazioni locali cinesi ricevono sempre meno fondi da Pechino e i pensionati scendono in piazza per protestare, ma le radici del problema sono ben più profonde e il patto sociale con il presidente Xi Jinping sembra rotto. Fatti, numeri e commenti

 

A Wuhan, dove ormai tre anni fa è scoppiata la pandemia di Covid, migliaia di pensionati cinesi sono scesi in piazza per protestare contro i recenti tagli all’assicurazione medica fornita dal governo agli anziani, un segnale che le spese per mettere in atto la strategia zero Covid sono costate care e che i governi locali, responsabili della copertura di gran parte dei costi (dall’assistenza sanitaria al riscaldamento delle case), sono in seria difficoltà.

Ma la politica tolleranza zero ha presentato anche un altro conto: quello delle vittime del virus che, secondo un lavoro di data journalism del New York Times, sono nettamente di più di quelle dichiarate ufficialmente. L’indagine ritiene, infatti, che durante l’ultima ondata, da quando sono cadute tutte le restrizioni, le persone decedute siano tra il milione e il milione e mezzo. Per Pechino, invece, dall’inizio della pandemia, sono ufficialmente 83.150, che sarebbe il tasso di mortalità pro capite più basso di qualsiasi altro grande Paese.

LE PROTESTE A WUHAN (E NON SOLO)

Stando ai video circolati online, migliaia di pensionati si sono radunati al parco Zhongshan di Wuhan sfidando la polizia che cercava di respingerli. La Cnn riferisce che alcuni hanno cantato canzoni come “L’Internazionale”, un inno utilizzato sia dal Partito Comunista Cinese (Pcc) al potere sia dai manifestanti, che lo hanno scelto per dire che il partito si è allontanato dalle sue radici ideologiche.

Durante la settimana, altre manifestazioni si sono tenute anche nella città portuale di Dalian, nella provincia di Liaoning, e il mese scorso a Guangzhou.

LE RAGIONI DELLE PROTESTE

Le proteste hanno riguardato le modifiche al sistema di assicurazione sanitaria nazionale, che si compone di due parti: un fondo comune e un assegno mensile per le prestazioni mediche dei pensionati. Quest’ultimo, a quanto scrive Reuters, è stato ridotto dai governatori di Wuhan da 260 yuan (38 dollari) a 83 yuan.

“Questi soldi sono pochi, ma agli anziani salvano la vita. Le persone non sono ricche, quindi ogni piccola somma di denaro è estremamente importante”, ha detto una fonte all’agenzia di stampa. La Cina, infatti, ha uno dei livelli più alti al mondo di disuguaglianza di reddito.

E, come ricorda la Cnn, sono in molti a essere particolarmente interessati dalla riforma dato che, nel Paese, gli anziani rappresentano un quinto degli 1,4 miliardi di abitanti, con un numero di persone di 60 anni e oltre che è salito a 280 milioni l’anno scorso.

Nel 2022, inoltre, la popolazione del Paese si è ridotta per la prima volta in più di 60 anni, in un contesto di profonda crisi demografica con implicazioni significative per il rallentamento dell’economia e l’assistenza agli anziani.

LA VERSIONE DEL GOVERNO

Le autorità governative di Wuhan hanno pubblicato una nota riportata dal Nyt in cui affermano che “se è vero che le riforme comporteranno una riduzione dei pagamenti ai conti assicurativi personali, alla fine le spese vive per alcuni saranno inferiori, perché il fondo comune si farà carico di una parte maggiore dei costi sanitari per le visite ospedaliere di routine”.

PERCHÉ IL GOVERNO NON PUÒ PIÙ SPENDERE

Dietro a tutto questo, però, secondo gli esperti, oltre al rallentamento della crescita economica in generale della seconda economia mondiale che ambisce a diventare la prima, a pesare sarebbero anche gli onerosi costi che le autorità locali hanno dovuto sostenere per le misure imposte dal governo centrale nel quadro della strategia zero Covid, dai test di massa alle strutture di quarantena.

Ma, come scrive il Nyt, questo sembra solo il culmine di una crisi finanziaria delle amministrazioni locali cinesi iniziata ben prima, infatti, già “a metà degli anni ‘90, avevano perso la maggior parte della loro capacità di riscuotere le tasse a causa di un cambiamento di politica governativa” e “gli è stata invece data ampia facoltà di prendere in prestito denaro o di raccogliere fondi vendendo ai costruttori locazioni a lungo termine di terreni di proprietà dello Stato”.

Fondi che, tuttavia, non sono bastati a pagare gli ingenti investimenti dei governi locali in infrastrutture e altri progetti.

A questo si è aggiunta dall’autunno del 2021 la crisi del settore immobiliare che ha sia impedito ad alcuni costruttori di onorare i propri debiti sia ad altri di impegnarsi nell’acquisto di nuovi terreni. “Le entrate del governo derivanti dagli acquisti di terreni – afferma il Nyt – sono diminuite di quasi un quarto lo scorso anno”, con ovvie conseguenze per i governi locali che hanno iniziato a ricevere sempre meno da Pechino tanto che hanno dovuto ritardare gli stipendi dei dipendenti pubblici e attuare ampi tagli alla spesa.

LA FINE DEL PATTO SOCIALE?

Ma come osservava su Start l’esperto di scenari strategici Francesco Galietti, “il patto che ha governato la Cina per decenni – docilità in cambio di prosperità – si è rotto” per la gestione di un leader dai poteri smisurati ma incapace di mantenere la promessa dello Stato che si prende cura dei suoi cittadini.

“Fino ad oggi, la popolazione cinese accettava la privazione di diritti civili e sociali in cambio di una promessa di prosperità – scrive Galietti -. La possibilità di arricchirsi rapidamente era una compensazione sufficiente per tutto il resto. Ma questo meccanismo – arricchimento in cambio di docilità – si è rotto. In una globalizzazione sempre più regionalizzata, la Cina non è più la fabbrica-mondo”.

Anche per il Nyt, i cinesi hanno accettato anni di lavoro a basso salario con l’aspettativa di ricevere una generosa assistenza sanitaria e una pensione al momento del pensionamento, che ora però è del tutto diversa da quanto promesso e immaginato.

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