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Cina

Xi ha rotto il patto sociale in Cina?

Il patto che ha governato la Cina per decenni – docilità in cambio di prosperità – si è rotto, e Xi non sa che pesci prendere. L'analisi di Francesco Galietti, esperto di scenari strategici e fondatore di Policy Sonar.

Xi Jinping entra nel nuovo anno con poteri smisurati, ma la sua leadership esprime un paradosso senza precedenti.

I PROBLEMI ESTERNI DELLA CINA

Sul fronte esterno, la Cina osserva con preoccupazione l’arco di destabilizzazione che abbraccia Russia e Iran, cioè i principali alleati di Pechino all’interno del blocco eurasiatico.

La prima vede ridicolizzata la propria capacità di conduzione della guerra, e si ritrova declassata: non più potenza neo-zarista, bensì potenza regionale. Il secondo reprime con ostentata ferocia i movimenti giovanili che chiedono diritti, e le minoranze etniche che alzano la testa.

La contestuale instabilità di Russia e Iran mette in fibrillazione l’intera Asia centrale. Può dirsi quindi gravemente compromessa una delle gambe della grande strategia di connettività cinese: quella delle Vie della Seta terrestri.

I PROBLEMI INTERNI

Sul fronte interno, la repentina decisione di archiviare la strategia zero-Covid risponde soprattutto alla necessità di contenere la crescente instabilità domestica. Costretta a una forma di prigionia e controllo sociale estremo da circa tre anni, la popolazione cinese non ne può più. Non a caso, il 2022 si è chiuso con proteste molto accese e diffuse in tutta la Cina. Questi moti descrivono in maniera vistosa il rovesciamento di prospettiva domestica.

Nel 2020, la maggior parte della popolazione cinese era oltremodo orgogliosa della fermezza con cui il regime cinese aveva gestito le prime fasi del Covid. Oggi non è più così. Il resto del mondo ha ripreso a funzionare più o meno normalmente. I vaccini cinesi sono un flop, mentre funzionano quelli occidentali a lungo vituperati dalla propaganda di regime. Che qualcosa si stesse muovendo anche a Pechino, lo si poteva capire da qualche dettaglio qua e là.

LA VISITA DI SCHOLZ A PECHINO E IL RUOLO DI SAHIN

Prendiamo la recente visita di Stato del cancelliere tedesco Olaf Scholz. Scholz a Pechino non si è presentato solo, bensì accompagnato da una delegazione di colossi industriali tedeschi. Tra coloro che viaggiavano con Scholz c’era anche il prof. Ugur Sahin.

Sahin è un turco alawita, emigrato giovanissimo in Germania, ed è l’ormai celebre fondatore di Biontech, la casa tedesca che insieme all’americana Pfizer ha sviluppato uno dei vaccini anti-Covid più diffusi al mondo. Cosa ci faceva Sahin a Pechino già nel novembre dello scorso anno?

Con ogni probabilità la cerchia stretta di Xi Jinping aveva segnalato un forte interesse per vaccini occidentali. Senonché, arrivati a questo punto, l’inversione a U si rivela di ardua gestione. Dopo mesi e mesi di lavaggio del cervello cinese contro i vaccini occidentali, molti cinesi esiteranno. A riversarsi a Macao, dove in qualche maniera le fiale occidentali già circolano da tempo, sono soprattutto i cinesi ricchi e meglio informati. Nel frattempo sul continente i forni crematori lavorano a più non posso, sotto l’occhio vigile degli analisti di tutto il mondo che delle statistiche ufficiali cinesi non si fidano.

LA SFIDA PIÙ DIFFICILE PER XI

La sfida più difficile per Xi è però rappresentata dal venir meno del patto sociale cinese. Fino ad oggi, la popolazione cinese accettava la privazione di diritti civili e sociali in cambio di una promessa di prosperità. La possibilità di arricchirsi rapidamente era una compensazione sufficiente per tutto il resto. Ma questo meccanismo – arricchimento in cambio di docilità – si è rotto. In una globalizzazione sempre più regionalizzata, la Cina non è più la fabbrica-mondo.

I gruppi occidentali, che stanno ripensando la propria presenza produttiva nel globo, hanno infatti deciso di non vendere o smantellare le proprie fabbriche in Cina, ma d’ora in avanti le useranno per servire il mercato cinese e non tutto il mondo. Xi Jinping ha una straordinaria fretta di allargare e approfondire il mercato domestico.

IL PIANO DI STIMOLI AVRÀ SUCCESSO?

A metà dicembre, Pechino ha reso pubblico un piano di stimoli per il periodo 2022-2035. L’obiettivo è di far sì che una enorme fetta del PIL cinese – da un terzo a metà – arrivi dalla domanda domestica, conteggiando sia i consumi privati sia il fitto reticolato di imprese ed enti statali di ogni tipo. Ma, anche facendo la tara agli ambiziosi obiettivi sbandierati dal regime cinese, c’è da dubitare che il piano abbia reali possibilità di successo.

Come ha recentemente ricordato su Asia Times un grande esperto di cose cinesi come Francesco Sisci, la Cina è ancora priva di un sistema sanitario ed educativo gratuito. Parimenti, mancano le pensioni universali e i sussidi alla disoccupazione. È naturale, quindi, che i cinesi mettano da parte una considerevole fetta dei propri risparmi.

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