skip to Main Content

Cina

La Cina si prepara davvero alla guerra contro gli Stati Uniti?

E se Cina e Usa andassero alla guerra? Ecco le risposte contenute in un editoriale del Global Times, la versione in lingua inglese del Quotidiano del Popolo e dunque voce diretta del Partito Comunista Cinese.

Una domanda ha agitato i sonni di chi ha osservato preoccupato lo scontro Usa-Cina di questi ultimi anni: e se alla fine la situazione sfuggisse al controllo e le due superpotenze andassero alla guerra?

Tra chi si è posto questa domanda, e vi ha fornito risposte a ben vedere scoraggianti, è Hu Xijn, direttore del Global Times, la versione in lingua inglese del Quotidiano del Popolo e dunque voce diretta del Partito Comunista Cinese.

Questa settimana Hu ha pubblicato un editoriale particolarmente bellicoso che non lascia speranze a chi ritiene che il confronto tra i due rivali debba rimanere per forza nei binari di uno scontro verbale. Al contrario, con questo articolo Hu ha voluto preparare il popolo cinese a quello che lui considera uno scenario tangibile: la guerra.

“Il popolo cinese non vuole la guerra – è l’incipit dell’editoriale – ma abbiamo delle dispute territoriali con diversi paesi vicini incoraggiati agli Usa ad affrontare la Cina. Alcuni di questi paesi credono che il supporto Usa offra loro la possibilità strategica di trattare oltraggiosamente la Cina. Credono che la Cina, sotto la pressione degli Usa, abbia paura, non abbia voglia o sia incapace di ingaggiare un conflitto militare con loro (…). Si consideri anche che c’è la questione di Taiwan, dove il rischio che la Cina sia costretta ad una guerra è salito bruscamente in tempi recenti”.

Fatta la premessa, Hu salta alla sua inquietante conclusione: “Spesso, meno tu vuoi la guerra, e più i dilemmi sopra menzionati diventano prominenti. La società cinese deve pertanto avere il coraggio di impegnarsi con calma in una guerra che miri a proteggere i suoi interessi chiave, ed essere preparata a pagarne i costi”.

Leggendo questo passaggio, si potrebbe concluderne che Hu stia incoraggiando il partito a mettersi in pace con se stesso e a prepararsi ad una guerra con paesi come Vietnam, Filippine, Brunei e Indonesia – quelli con cui ha un contenzioso territoriale sul Mar Cinese Meridionale – naturalmente con il loro protettore americano al loro fianco.

Più avanti, tuttavia, Hu sembra far capire che la necessità della Cina, più che armare i cannoni, sia convincere il prossimo essere terrorizzato da un eventuale conflitto: “La forza complessiva della Cina”, scrive infatti Hu, può effettivamente essere trasformata in un deterrente strategico contro tutti i provocatori: “Fino a quando il mondo esterno percepirà che simili verità promanano dalla Cina, la guerra potrà essere evitata”.

Considerato che il Global Times è scritto soprattutto per essere letto all’estero, e che Hu è una personalità molto seguita fuori dal suo paese anche grazie al suo account Twitter, possiamo dedurne che la Cina ha voluto trasmettere all’esterno un messaggio di risolutezza e al tempo stesso di timore – sentimenti entrambi giustificati dall’accerchiamento che la Marina Usa sta da tempo compiendo nei confronti della Marina cinese per sottolineare che il Mar Cinese Meridionale e le altre zone sottoposte a contesa sono zone libere per la navigazione e non, come pretenderebbe Pechino, di proprietà di qualcuno. Inclusa Taiwan.

Back To Top