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Banalità

La banalità del bene e l’indifferenza per il male

Tre libri sulla Giornata della Memoria letti da Tullio Fazzolari

 

Il Giorno della Memoria del 27 gennaio è appena trascorso ma è d’obbligo non confinare il ricordo dell’Olocausto dentro una singola data. E la lettura di un libro aiuta sicuramente a non dimenticare le sofferenze  e le atrocità che le hanno causate. La difficoltà sta nello sceglierne soltanto uno fra i tanti che sono stati pubblicati anche recentemente sulla Shoah. Nonostante innumerevoli tentativi, non ci si riesce proprio e, alla fine, il risultato è che almeno tre libri sono irrinunciabili.

Due di questi si devono a Liliana Segre, oggi senatrice a vita e figura simbolo dell’Olocausto che nel gennaio del 1944, quando aveva tredici anni, venne deportata ad Auschwitz con matricola 75190 e fu una dei venticinque sopravvissuti al campo di sterminio. Insieme a Enrico Mentana Liliana Segre ha scritto “La memoria rende liberi. La vita interrotta di una bambina nella Shoah” (Rizzoli, 256 pagine, 15,10 euro). E poi con Giuseppe Civati “il mare nero dell’indifferenza” (People, 156 pagine, 12 euro). È il ricordo degli orrori vissuti da un’innocente di soli tredici anni. Ma è anche il racconto delle conseguenze di quelle atrocità perché per molti anni la stessa Segre non riuscì a parlare dell’Olocausto. Ha deciso di farlo solo nel 1990. E forse anche per averci pensato così a lungo le sue parole risultano sempre misurate e pesate con attenzione.

Fa riflettere quando Liliana Segre parla di indifferenza. Nelle atrocità non ci sono solo le vittime e i carnefici. C’è un mondo intermedio in cui ciascuno reagisce diversamente. C’è chi gira la testa da un’altra parte e fingendo di non vedere diventa di fatto complice degli orrori. Ma c’è anche chi decide che non si può rimanere indifferenti. E qui viene subito in mente il terzo libro che non si può fare a meno di leggere o rileggere. È “La banalità del bene” di Enrico Deaglio (Feltrinelli, 160 pagine, 8,5 euro), pubblicato trent’anni fa ma ristampato più volte anche recentemente. Nessuno prima di Deaglio aveva mai raccontato la storia di Giorgio Perlasca, un eroe rimasto sconosciuto per quasi cinquant’anni: fascista convinto fino al 1938 tanto da andare volontario in Etiopia e nella guerra civile spagnola ma deluso dall’alleanza con la Germania di Hitler e soprattutto dalle leggi razziali. E nel 1944 a Budapest, dove si trova per lavoro, Perlasca finge di essere il console spagnolo e riesce a salvare dai nazisti più di 5 mila ebrei correndo il rischio di essere scoperto e finire anche lui in campo di sterminio

Non fu l’unico ad avere tale coraggio. Come Perlasca, il diplomatico giapponese Chiune Sugihara e Il portoghese Aristides de Sousa  salvarono migliaia di vite. E subito prima della guerra il console cinese a Vienna aveva fatto altrettanto facendo espatriare attraverso il porto di Trieste circa 15 mila ebrei. Ma le loro storie non sono state raccontate abbastanza mentre quella di Perlasca sì. E “La banalità del bene” di Deaglio fa comprendere che la memoria serve anche a combattere l’indifferenza.

 

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