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Internet

Internet e la Biblioteca di Babele di Borges

Il Bloc Notes di Michele Magno L’universo (che altri chiama la Biblioteca) si compone d’un numero indefinito, e forse infinito, di gallerie esagonali, con vasti pozzi di ventilazione nel mezzo, bordati di basse ringhiere. Da qualsiasi esagono si vedono i piani superiori e inferiori, interminabilmente. La distribuzione degli oggetti nelle gallerie è invariabile. Venticinque vasti…

L’universo (che altri chiama la Biblioteca) si compone d’un numero indefinito, e forse infinito, di gallerie esagonali, con vasti pozzi di ventilazione nel mezzo, bordati di basse ringhiere. Da qualsiasi esagono si vedono i piani superiori e inferiori, interminabilmente. La distribuzione degli oggetti nelle gallerie è invariabile. Venticinque vasti scaffali, in ragione di cinque per lato, coprono tutti i lati meno uno; la loro altezza, che è quella stessa di ciascun piano, non supera di molto quella d’una biblioteca normale. Il lato libero dà su un angusto corridoio che porta a un’altra galleria, identica alla prima e a tutte. (Jorge Luis Borges, “La Biblioteca di Babele”)

Le fake news ci sono sempre state. Dalla Donazione di Costantino ai Protocolli dei Savi di Sion, affondano le loro radici nella storia. Anzi, nella notte dei tempi, nella logica del “serpente astuto” -come ha osservato Papa Francesco- di cui parla il Libro della Genesi. Nel 1941, Jorge Luis Borges pubblicò un racconto fantastico, “La Biblioteca di Babele”, in cui viene descritto un allucinante universo spazialmente infinito composto di sale esagonali, che raccoglie disordinatamente tutti i possibili libri di 410 pagine in cui si susseguono sequenze di caratteri senza ordine, in tutte le possibili combinazioni. La biblioteca totale dello scrittore argentino è Internet di oggi, un mondo globale e virtuale dove le informazioni viaggiano alla velocità della luce ma spesso senza nessun controllo. Da qui la proliferazione di notizie fasulle o ingannevoli, esentate da quella che nel mondo anglosassone si chiama accountability, ossia il dovere di “rendere conto”.

I media tradizionali, di cui gli anni centrali del Novecento hanno segnato il trionfo, comportavano un tipo di comunicazione unidirezionale: dal vertice alla base. L’unica differenza rispetto al passato riguardava l’ampiezza dell’uditorio. Gorgia parlava a una trentina di greci, Hitler a milioni di tedeschi. Con la Rete l’uditorio è invece sconfinato e la comunicazione diventa multidirezionale: la base può perfino governare e controllare il messaggio. Entra quindi in scena una nuova figura sociale: il “chiunque”, come l’ha chiamato Alain Badiou, cioè il cittadino del web senza identità e senza volto.

È lui il principale protagonista dei cinquecento siti web (di cui 41 italiani), censiti dagli analisti di NewsGuard, che diffondono “stronzate” sulla nocività dei vaccini. E proprio “Stronzate” (in originale “On Bullshit“) si intitola un irriverente saggio di Harry G. Frankfurt. Apparso per la prima volta nel 1986, andrebbe ristampato e fatto circolare nelle scuole. “Uno dei tratti più salienti della nostra cultura è la quantità di stronzate in circolazione”, avverte nell’incipit il professore emerito di filosofia dell’Università di Princeton. Come dargli torto? Sono ormai due anni che slogan insulsi, vuote scemenze, affermazioni che denunciano una disperante ignoranza vengono pronunciate impunemente. Se non ne hanno il monopolio, gli scienziati del web le brevettano ad un ritmo impressionante.

Frankfurt si è preso la briga di indagare la natura del fenomeno. Egli sostiene che “le stronzate sono un nemico della verità più pericoloso delle menzogne.” Il “bullshitter” -noi diremmo il cazzaro- è infatti più temibile del mentitore. Come ha insegnato sant’Agostino, al mentitore in qualche misura interessa sapere la verità, perché per mentire deve conoscerla. Si deve cioè confrontare con la verità per poter costruire una menzogna. Se quindi il bugiardo “onora” ancora la verità e si muove nel suo orizzonte, invece chi dice stronzate la scavalca e si preoccupa solo di negarla.

Un interlocutore ben informato su come stanno le cose, quindi, può sempre contrastarlo. Al contrario, il contaballe risulta più difficile da contraddire, in quanto si disinteressa completamente di ciò che è vero e di ciò che è falso. Spara le sue stronzate e, anzitutto nei talk show e sui social network, condivide e diffonde quelle altrui per avvelenare i pozzi del discorso razionale. Descrivendo nei “Promessi sposi” la peste seicentesca di Milano, Alessandro Manzoni conclude con una splendida e giustamente celebre frase: “Il buon senso c’era, ma se ne stava nascosto per paura del senso comune”. Purtroppo, come accade nel tempo presente, quando le stronzate diventano senso comune, il buon senso è costretto all’esilio.

“La falsità spicca il volo e la verità la segue zoppicando”, recita un aforisma di Jonathan Swift. Tre secoli fa questa affermazione era un’iperbole, oggi invece descrive bene i social media. Tutte le piattaforme che amplificano contenuti provocatori rischiano di fare da cassa di risonanza alle notizie false. E, come è noto, una storia falsa ha molte più probabilità di diventare virale rispetto a una vera. Ciò vale in tutti i campi -economia, terrorismo e guerra, scienza e tecnologia, intrattenimento e politica.

In Rete ci sono quasi due miliardi di siti web e più della metà della popolazione mondiale naviga in Internet: ogni secondo nel mondo vengono inviati oltre due milioni e mezzo di messaggi di posta elettronica e vengono effettuate 70mila ricerche su Google. Le fake news sono parte integrante della Rete, invadono le pagine Internet, si diffondono come virus nel web, tengono testa ai grandi quotidiani e riescono a creare un impatto mediatico a livello globale. Le fake news hanno la prerogativa di distorcere la realtà dei fatti e occultare la verità, ingannando il lettore. Complice la libertà che contraddistingue la natura del web, la disinformazione trova un terreno fertile nella Rete, dove riesce a diffondersi a macchia d’olio e entrare nel senso comune dell’utente lettore. Il web rappresenta un vero e proprio oceano di contenuti in cui i confini tra notizia vera, distorta o completamente inventata  diventano labili, a volte quasi inesistenti.

Dunque ha ragione il partito dell’Internet bugiardo? Vexata quaestio. Beninteso, la lotta politica e, adesso, la lotta contro la scienza condotta a suon di fandonie sul palcoscenico nazionale e internazionale sono avvantaggiate da tre fattori: la possibilità dell’anonimato; la possibilità di raggiungere rapidamente un vastissimo numero di persone: il fenomeno delle “cascate” informative (la bufala che diventa virale). Siamo quindi ben lontani dalla “cyberdemocracy” immaginata da Nicholas Negroponte e Gianroberto Casaleggio. Come si può sconfiggere, allora, la facile menzogna dei professionisti del clic? Chi è favorevole a provvedimenti restrittivi della libertà di comunicazione, con il nobile scopo di arginare il falso, dovrebbe sapere che così si rischia di mettere a tacere anche il vero. È il meccanismo che Cass Sunstein ha definito “chilling effect”, effetto gelante.

Secondo la filosofa Franca D’Agostini (“Menzogna”, Bollati Boringhieri, 2012), si può invece adottare il vecchio principio del “lasciar crescere la gramigna” perché con essa cresca anche il grano. La verità infatti non deve temere nulla la diffusione della menzogna, visto che quest’ultima ha comunque bisogno di lei per vivere e prosperare. Lo spiega molto bene la tradizione, descrivendo il mentitore prigioniero dei suoi inganni. Se infatti ci sono molti modi di mentire, mentre la verità è una sola, ciascuno di quei modi contiene in sé il vero che può distruggerlo dall’interno. Ed è quanto normalmente dovrebbe fare uno spirito critico ben allenato, a patto che abbia voglia e tempo di mettere a tacere quelli che sono in definitiva le sue scimmie, o i suoi giullari: i mentitori.

 

 

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