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Mikis

In ricordo di Mikis Theodorakis, comunista a modo suo

Il corsivo di Teo Dalavecuras

Mikis Theodorakis merita qualcosa di più di un ricordo che trasuda retorica e il desiderio di incorniciare il grande musicista-uomo pubblico nell’album di famiglia, come per esempio ha fatto su Politico il parlamentare europeo Dimitrios Papadimoulis, in quota Syiriza, che ha voluto anche raccontare di una sua visita in ospedale a Theodorakis negli anni della Troika (“gli anni”, dice Papadimoulis, “dei memorandum che avevano messo in ginocchio la Grecia”).

Per inciso, è difficile dire qualcosa di più stupido e superficiale sui motivi della crisi politico-economica greca iniziata nel 2009, frutto in primo luogo del livello artificiosamente basso del costo del denaro prodotto dall’accoglimento della Grecia nel club dell’euro e di una conseguente dissennata politica di incentivazione del “consumismo a credito”, e in secondo luogo della crisi finanziaria mondiale deflagrata nel 2008 che agì, rispetto a quella del debito greco, da miccia (ma Papadimoulis non per nulla è uno dei 14 vicepresidenti del Parlamento europeo…). Così racconta: “Ricordo che mi chiese dei programmi di Syriza e del nostro leader Alexis Tsipras. Manifestò poi, con l’indomito spirito del combattente che lo aveva sempre contraddistinto, il proprio ottimismo: presto avrebbe potuto dare il suo contributo alla lotta del nostro Paese contro la tutela della Troika”.

Il punto non è tanto nel fatto che gli anni del governo Tsipras-Kammenos siano stati quelli nei quali l’azione della Troika si è imposta con maggiore forza, producendo oltre a un sostanziale congelamento delle disponibilità bancarie dei privati una pressione fiscale senza precedenti che si traduceva in avanzi primari di bilancio anche superiori al 5 per cento: si sa che le previsioni sono fatte per essere fsmentite dagli eventi successivi.

Il punto è specifico e riguarda il tentativo di arruolare Theodorakis in un esercito al quale non ha mai appartenuto, quello di Alexis Tsipras e dei suoi simili. Per capirlo basta leggere la lettera aperta pubblicata nel sito del musicista all’indomani della trasferta di Tsipras a Cuba per i funerali di Fidel Castro, un documento pubblico che però all’epoca i grandi media avevano preferito ignorare.

“Compagno Alexis, lo ammetto, sei proprio un bullo (in greco “μαγκας”, ndt). Il più gran bullo che si sia visto in Grecia dal 450 a. C. a oggi. Fai quel che ti pare senza guardare in faccia a nessuno. Prendi il tuo aereo personale, lo riempi di amici e amiche, te ne vai a Cuba, e lasci il conto di 300 mila dollari, che lo paghino i fessi con 300 euro al mese nella migliore delle ipotesi. Fai i tuoi comodi. Parli come un rivoluzionario duro e puro. Nella piazza della Rivoluzione dove parlava anche Fidel. Ti ergi in tutta la tua gigantesca statura contro il capitalismo-imperialismo.  Ti abboffi come un maiale (600 euro per un pranzo pagato dal ministero degli Esteri, cioè dai tuoi tirapiedi). Ti diverti, te la godi, mentre i fessi, cioè i Greci, fanno la coda per la pensione, per la bolletta della luce, in banca, negli ospedali, e soprattutto austerità su austerità. Giochi a fare il rivoluzionario e quando torni ridiventi quello che sei, il ragazzo che esegue i voleri della Merkel, di Obama, di Juncker: questi stessi che all’Avana coprivi di tuoni e fulmini, sempre a spese dell’astuto popolo greco, che ha scelto di farsi governare da individui senza seguito e senza dignità, che governano per gioco. Arrivederci in pellicceria. Mikis”.

Tutti coloro che hanno sempre considerato – giustamente – Theodorakis un uomo di sinistra, e magari hanno anche provato l’ebbrezza della “Lista Tsipras” alle Europee del 2014, si sorprenderanno alla lettura di questo testo che ho tradotto come meglio potevo, cioè male, ma che l’eventuale interessato può trovare in lingua originale al seguente indirizzo.

Il fatto è che Mikis è sempre stato comunista, ma a modo suo, cioè da libero cittadino, sin dagli anni della resistenza all’occupazione tedesca nelle file dell’Eam, il Fronte di liberazione nazionale. È un uomo che ha conosciuto il carcere e il confino perché sino al 1974, quando venne legalizzato da Costantino Karamanlis, il partito comunista in Grecia era fuorilegge, ma ciò non gli ha impedito di entrare nel 1990 nel governo centrista di Costantino Mitsotakis, padre dell’attuale premier, esattamente come cinquant’anni prima il fatto di essere erede della grande tradizione liberale di Elefterios Venizelos non aveva impedito all’allora giovane Mitsotakis di combattere l’occupazione tedesca, fianco a fianco con i comunisti, a Creta.

Ma l’indubbio dato biografico inerente all’ideologia non può impedire – se non a persone in malafede – di percepire la distanza abissale che separa un uomo come Mikis Theodorakis da uomini come Tsipras, anche a prescindere dalla non banale circostanza che mentre Tsipras è uomo senz’arte nè parte salvo l’arte (fondamentale) di subordinare ogni circostanza della vita alla propria affermazione personale, Theodorakis è stato uno dei grandissimi musicisti del ventesimo secolo, nonostante l’apparente semplicità di tante sue composizioni. Mentre Mikis si è potuto concedere il lusso di fondare ogni presa di posizione sul proprio libero giudizio di ciò che era bene per il popolo di cui si considerava parte, il popolo greco, Tsipras non si può nemmeno permettere di scegliere il proprio abbigliamento se non in funzione del costo/beneficio elettorale, della sensibilità dei suoi protettori e dalle prospettive di potere offerte o minacciate da ciascun gesto. Rispetto a “essere di sinistra” come lo si intendeva un tempo (e oggi si finge di intenderlo), è la differenza tra la moneta buona e quella falsa. In Grecia, una volta, quando come in tutto il Medio Oriente circolavano comunemente le “Elisabette”, le si mordevano per capire se erano autentiche: se non lo erano però, se non si era pratici si rischiava di lasciarci uno o più denti. E noi “astuti” greci con questa “verifica”, iniziata nel gennaio del 2015, di denti ne abbiamo lasciati diversi. Sicché oggi vedere Mikis “usato” come una icona della sempre nuova sinistra “di governo”, quella che partita da Tony Blair è arrivata a Giuseppe Conte, dà un po’ fastidio. Ma c’è una logica.

Negli ultimi decenni molte componenti di quella che era un tempo l’ideologia della sinistra combattente sono diventati elementi della politica intesa come marketing, come tanti anni fa poteva esserlo nelle sue numerose declinazioni la casalinga oppure la donna conturbante. Oggi, anche grazie a Nanni Moretti, essere di sinistra non vuol dire opporsi al potere esistente in nome di un potere da costruire, ma solo oltraggiare le persone e le cose che non appartengono alla sfera dei propri padrini, di regola internazionali. Ed è altrettanto sensato che i padrini principali, di là dell’oceano così come a Bruxelles, favoriscano questo essere “di sinistra”, visto che il principio della sovranità popolare e della conseguente autodeterminazione, che in mancanza di alternative è rimasto un valore nazionale, si può meglio screditare “da sinistra”.

Chi sa interpretare questo tipo di “partitura” possiede il profilo gradito ai posti di comando nelle periferie dell’impero d’Occidente. E forse non solo nelle periferie.

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