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Campagna Elettorale Usa

Il peso del voto ebraico fra Trump e Biden

Trump confida negli accordi con Israele per accaparrarsi il voto ebraico, anche se Biden sembra essere avanti. L'intervento di Giorgio Gomel per Affari Internazionali

Donald Trump è agli antipodi rispetto al sentimento prevalente fra gli ebrei americani – che rappresentano meno del 2% della popolazione del Paese -,  fra i quali i liberal sono maggioritari, su questioni quali l’immigrazione, il pluralismo religioso, la giustizia sociale, la separazione fra religione e politica.

Secondo un sondaggio svolto dopo le elezioni presidenziali del 2016, il 24% degli elettori ebrei votò per Trump, un numero analogo a quello dei votanti per Bush nel 2004 e McCain nel 2008. Di questi alcuni erano conservatori “classici”, nel senso di adesione a valori legati alla tradizione, all’ordine, alla famiglia; altri gravitavano, secondo le interpretazioni prevalenti, soprattutto nel mondo ebraico “ortodosso” dal punto di vista della pratica religiosa. Per questi ultimi, la difesa di Israele e l’avversione verso arabi e musulmani è elemento preminente fino al punto di cedere alle lusinghe tentatrici di una destra che ha sì pregiudizi e istinti antisemiti ma che è saldamente filo-israeliana (più precisamente, predica e promuove atti plaudenti ai partiti e movimenti della destra in Israele).

IL BARICENTRO DEL CONSENSO DELL’EBRAISMO USA

La decisione di Trump di trasferire l’ambasciata americana a Gerusalemme e di rompere ogni rapporto diplomatico con l’Autorità palestinese, nonché lo stesso piano di pace dell’Amministrazione così vicino alle posizioni del governo Netanyahu, rispondono a questa logica, oltre ad agire con grande forza seduttiva sulle correnti cristiano-fondamentaliste degli evangelici che pesano per il 25 % sulla popolazione americana e che nel 2016 rappresentarono oltre il 50% degli elettori di Trump.

Nonostante il crescere del peso demografico della comunità ebraica ortodossa e dell’influenza politico-finanziaria di grandi donatori come Sheldon Adelson, di simpatie repubblicane, il baricentro dell’ebraismo americano resta ancorato ai temi della battaglia contro il razzismo, la disuguaglianza sociale e le discriminazioni etniche di cui soffrono le minoranze negli Stati Uniti (temi cari alla giudice Ruth Bader Ginsburg, prima donna ebrea a sedere alla Corte Suprema, morta la scorsa settimana nel giorno di Rosh Hashanah e sulla cui sostituzione è in atto adesso un imponente scontro fra democratici e repubblicani, ndr).

Il sostegno ebraico al partito democratico è infatti una costante della storia politica anche recente del Paese: Gore ottenne il 79 % del voto ebraico nel 2000; Obama il 78% nel 2008 e il 69% nel 2012; invece Romney, l’antagonista repubblicano, ne conquistò il 30%, il migliore risultato di un candidato repubblicano nel secolo in corso.

LA FRATTURA

Anche le elezioni di midterm per le due camere del Congresso nel 2018 hanno confermato la frattura profonda fra gli ebrei americani e gli atteggiamenti dell’Amministrazione Trump: soltanto il 17% degli elettori ebrei optò per candidati repubblicani, il 79% per quelli democratici. Furono eletti come membri del Congresso 28 ebrei del partito democratico, contro appena 2 repubblicani; nove senatori e due governatori sono da allora ebrei democratici.

Con l’irrompere di un antisemitismo virulento – le marce suprematiste bianche in Virginia nel 2017,  l’eccidio di massa nella sinagoga di Pittsburgh nel 2018, le aggressioni contro persone, luoghi di culto e simboli ebraici – la frattura si è vieppiù acuita. Lo stesso rapporto quasi irenico fra gli ebrei americani e il loro Paese, il loro senso di sicurezza di contro alla marea montante di antisemitismo che ha investito in anni recenti diversi Paesi d’Europa, ha rischiato di infrangersi.

VERSO IL 3 NOVEMBRE

Sondaggi d’opinione recenti denotano peraltro un incremento nelle intenzioni voto in favore di Trump fino al 30%, mentre Biden otterrebbe il 67% del voto ebraico (Clinton ne ottenne il 71).

I temi dirimenti nella scelta elettorale restano quelli “interni“: in particolare, l’economia, il sistema sanitario, l’epidemia da Covid-19, l’antisemitismo. Il sostegno a Israele permane al fondo della lista: un indicatore interessante risiede nel fatto che Israele rappresenti la questione nella quale il divario fra i due candidati è minore: il 46% degli intervistati confida in Biden, il 32 in Trump (per contro il 67% sta con Biden sulla sanità, il 60 circa per l’impegno contro l’antisemitismo).

Ciò è un riflesso del tradizionale sostegno “bipartisan” delle Amministrazioni americane a Israele, Paese amico e solido alleato. La campagna elettorale di Trump ricorrerà al tema di Israele come strumento di propaganda – vedasi la scenografia fra il trionfalistico e lo strumentale intorno alla recente stipula a Washington degli accordi fra Israele, gli Emirati Arabi Uniti e il Bahrein -, imputando al partito democratico lo spostamento nelle correnti di “sinistra” verso posizioni più critiche in materia di piani di annessione di Israele e di diritti negati ai palestinesi, per ottenere qualche vantaggio presso elettori ebrei, specialmente in stati indecisi e importanti per l’esito del voto quali la Florida o la Pennsylvania.

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