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Cecchettin

Il caos politico-mediatico su Giulia Cecchettin

Il Pd vuole ergersi a unico difensore di Giulia Cecchettin, contro un presidente del Consiglio accusato di "cultura patriarcale". La nota di Paola Sacchi.

Un caos di dichiarazioni. Di tutto e di più, pur di attaccare il governo, sulla tragedia di Giulia Cecchettin per la quale come su tutti i femminicidi e le grandi emergenze nazionali sarebbe, invece, necessario un fronte comune. Ma il Pd sui social di fatto sembra ergersi a unico difensore politico della povera Giulia e dei familiari. Attacchi di esponenti di sinistra e di alcuni media al governo. Anche quello di un noto volto televisivo, professionista di lungo corso, come Lilli Gruber, conduttrice di ” Otto e mezzo” su La7, al premier Giorgia Meloni, prima accusata di cultura patriarcale, poi, in risposta al premier, di non essere abituata con la stampa “all’esercizio di democrazia”, pur considerando la replica di Meloni una volontà di dialogo.

Ma come aveva risposto il premier all’accusa a freddo di avere una visione patriarcale? Con una semplice foto familiare fatta solo di donne di varie generazioni, che si potrebbe definire “matriarcato” ovvero l’opposto di “patriarcato”. Meloni scrive su Facebook: “Non so come facciano certe persone a trovare il coraggio di strumentalizzare anche le tragedie più orribili pur di attaccare il governo”. Prosegue: “Ora la nuova bizzarra tesi sostenuta da Lilli Gruber nella sua trasmissione di ieri sera (l’altra sera ndr) è che io sarei espressione di una cultura patriarcale”. Conclude Meloni con sorpresa e amara ironia: “Come chiaramente si evince da questa foto che ritrae ben quattro generazioni di ‘cultura patriarcale’ della mia famiglia. Davvero senza parole”.

Eppure la storia personale del primo premier donna in Italia, da lei stessa raccontata nell’autobiografia Io sono Giorgia (Rizzoli), il cui padre abbandonò la famiglia quando lei e la sorella Arianna erano ancora bambine, è abbastanza nota. Ma l’episodio si inserisce in tutta una piega presa dalla sinistra, dal Pd e i Cinque Stelle, che sin dall’inizio con alcuni esponenti hanno incominciato a prendersela con la cosiddetta cultura di destra al governo, che sarebbe espressa anche dal pacchetto delle misure sicurezza. Misure naturalmente oggetto di legittime critiche da parte delle opposizioni, ma che non dovrebbero essere chiamate in causa in relazione alla tragedia dell’ennesimo femminicidio che ha, per modalità e efferatezza, particolarmente colpito la pubblica opinione.

Oggi il Senato approverà il disegno di legge del ministro Eugenia Roccella, già approvato alla Camera all’unanimità, volto a rendere più efficace il precedente Codice Rosso. E Meloni aveva risposto alla proposta di Elly Schlein di istituire una commissione nelle scuole per “il rispetto e l’affettività”, che già è prevista dal governo “una campagna di sensibilizzazione nelle scuole”, con i ministri delle Pari Opportunità, Cultura, Istruzione e Famiglia.

“Ogni singola donna uccisa perché ‘colpevole’ di essere libera è un’aberrazione che non si può tollerare”, aveva ammonito il premier appena ricevuta la notizia del ritrovamento del cadavere di Giulia Cecchettin. Ma in quella che dovrebbe essere una battaglia comune di maggioranza e opposizione, ovviamente ognuno con sensibilità e proposte diverse, sembra che la tragedia sia diventata ormai uno strumento di lotta politica da parte dell’opposizione che però non sembra avanzare proposte come quelle sulla sicurezza. Lotta alla cultura patriarcale sembra essere ormai per la sinistra e i Cinque Stelle la chiave di volta di tutte le soluzioni. Senza nulla togliere alla centralità di quella che una volta le femministe storiche definivano lotta al “maschilismo” a cominciare dall’educazione familiare certamente supportata dal ruolo della scuola, sembra però una proposta monca delle misure concrete da prendere subito a difesa delle donne.

Con tutto il rispetto per il dolore, suscitano perplessità alcune affermazioni della sorella di Giulia, Elena, che ha parlato di omicidio e educazione di stato. Premesso che bisogna stringersi in questo momento al dolore di Elena, alla famiglia della vittima innanzitutto ma anche a quella sotto shock (come si è visto in tv) del presunto assassino, la responsabilità in una democrazia liberale è sempre individuale. Ma, al di là delle affermazioni di Elena, che vanno rispettate, anche se non si è d’accordo, il punto è politico, non riguarda lei. La sinistra ha dato l’impressione di voler affrontare in termini statalisti il tremendo problema o in termini partitici. Un post social del Pd dice: “Giù le mani da Elena Cecchettin, chi l’attacca è senza vergogna”.

Eravamo studentesse aspiranti giornaliste o politiche nel 1975 a Roma, lavoravamo all’Udi, associazione indipendente di donne comuniste, socialiste, cattoliche, di idee liberali. La stessa sopravvissuta al massacro del Circeo, Donatella Colasanti, – difesa da Tina Lagostena Bassi, grande avvocato liberale, delle femministe di allora, decisiva poi, nel 1996, per far diventare lo stupro reato contro la persona e non più contro la morale – chiese all’Udi di non parlare troppo a nome suo. Perché la prima a difendere se stessa era lei e solo lei, con l’avvocato Lagostena Bassi.

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