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Giorgetti

I veri numeri della lotteria di Mani Pulite

I Graffi di Damato

 

Senza voler togliere nulla, per carità, ai problemi attuali della guerra alle porte dell’Ucraina, di cui è corso ad occuparsi sul posto anche il nostro ministro degli Esteri Luigi Di Maio accantonando per un po’ quella che conduce o subisce, come preferite, in casa per il controllo del MoVimento 5 Stelle; o del conflitto tutto politico, per fortuna, in corso nel governo di Mario Draghi sugli affari sporchi delle facciate  dei palazzi consentiti da una legge improvvisata da Giuseppe Conte a Palazzo Chigi e ancora difesa dai grillini come un osso da un cane più o meno ringhioso; o delle beghe della famiglia di Matteo Renzi appena portate in tribunale come un affare da gossip; senza voler togliere nulla, ripeto, a tutto questo e ad altro ancora, compresa la pandemia, vorrei segnalarvi il fallimento delle epiche “Mani pulite” anche come bilancio mentre se ne celebra il trentennio.

Cosa ne resta trent’anni dopo, appunto, ha titolato senza alcun punto interrogativo in prima pagina la Repubblica, sottintendendo evidentemente un bilancio positivo, conforme a tutta la esasperata attenzione che vi dedicò, insieme con tanti altri giornali, tra cronache, commenti, incitamenti, appelli eccetera, tutti convinti che si stesse svolgendo una mezza riedizione della Rivoluzione francese con meno vittime, fortunatamente. Il numero che ne resta, sparato -diciamo così- in prima pagina dal Corriere della Sera, e limitatamente alla parte milanese di quell’avventura giudiziaria per essere cominciata appunto a Milano, è di 2.565 indagati.

All’interno del giornale si riferisce che di quei 2.565 indagati -ripeto- ne furono condannati 1.408, per cui -se l’aritmetica non è un’opinione- si dovrebbero dedurre 1.157 non condannati, se proprio non vogliano definirli innocenti per non fare arrabbiare il già troppo nervoso Pier Camillo Davigo, tra gli inquirenti di allora, alle prese adesso con la giustizia dall’altra parte del bancone.

Ma gli assolti veri e propri risultano solo 544, ai quali andrebbero aggiunti 448 fra prosciolti, senza cioè arrivare neppure al rinvio a giudizio, prescritti, usciti cioè indenni dal processo per decorrenza dei tempi, e morti, suicidi e non. In tutto fanno 992, per cui ne mancano 165. Come li vogliamo chiamare? Dispersi, come in un naufragio in mare, di quelli ricorrenti nelle acque che separano l’Italia, anzi l’Europa, dall’Africa?

Un bilancio geograficamente più completo e sommario, esteso alle edizioni non milanesi di “Mani pulite”, sempre con la maiuscola per me immeritata assegnatasi dagli inquirenti, si trova sulla prima pagina del Mattino: 4.500 indagati, di cui 1.200 condannati, meno dei 1.408 risultati a Milano e dintorni. Ebbene, 4.500 meno 1.200 fanno 3.300 fra assolti, prescritti, morti e dispersi: più della metà.

Voi pensate che con questi numeri, dichiaratamente approssimativi anche per chi li ha dati, si possano celebrare come una festa i trent’anni che dopodomani saranno trascorsi dall’arresto di Mario Chiesa a Milano in flagranza di mazzette? E liquidare come bazzecola tutto quello che ha accompagnato e ha prodotto quella specie di rivoluzione, doverosamente minuscola, compreso il rovesciamento dei rapporti fra politica e giustizia, cioè l’assoggettamento della prima alla seconda? Che si è arroccata nelle nuove prerogative che ha strappato ad un Parlamento intimidito o ha preso da sola, pronta a tenersele ben strette anche se nei referendum in arrivo sulla giustizia gli elettori dovessero toglierne qualcuna, sostituendosi alle Camere ancora sottomesse.

Personalmente ho poco da festeggiare, e molto da sperare o da scommettere sulle urne referendarie liberate dai “peli nell’uovo” giustamente denunciati dal presidente della Corte Costituzionale Giuliano Amato, ancora fresco di elezione.

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