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Governo Libico

I rapporti di cooperazione tra Italia e Libia negli ultimi decenni

L’approfondimento di Giuseppe Gagliano   Incominciamo col precisare che non abbiamo come nostro obiettivo né quello di esporre una parte della storia della Libia né tantomeno la storia dei rapporti fra la Libia e l’Europa (con particolare riferimento all’Italia e alla Francia). La nostra finalità è molto più circoscritta e limitata: è quella di mostrare…

 

Incominciamo col precisare che non abbiamo come nostro obiettivo né quello di esporre una parte della storia della Libia né tantomeno la storia dei rapporti fra la Libia e l’Europa (con particolare riferimento all’Italia e alla Francia).

La nostra finalità è molto più circoscritta e limitata: è quella di mostrare ai lettori come paesi che si ispirano nelle loro costituzioni ai valori democratici e che affermano la sacralità di questi – unitamente al rispetto dei diritti umani – abbiano costruito nel passato come nel presente proficue relazioni bilaterali di natura economica e militare con paesi la cui natura, sotto il profilo giuridico e politico, è indiscutibilmente autoritaria come fu quella del regime di Gheddafi in Libia.

La prima notazione storica che dobbiamo formulare è relativa ai finanziamenti iniziati nel 1971 da parte di Gheddafi all’Ira naturalmente in funzione anti-inglese. A tale proposito negli anni 90 si scoprirà che la Libia aveva addestrato esponenti dell’Ira in campi militari libici, aveva versato somme di denaro nell’ordine di decine di milioni di dollari, aveva arricchito gli arsenali irlandesi con 10 t di esplosivo di derivazione cecoslovacca e con mortai, granate eccetera.

In secondo luogo Gheddafi diede sostegno, fin dagli anni 60, a diversi movimenti di liberazione fra i quali il fronte popolare di liberazione dell’Oman, il movimento popolare di liberazione dell’Angola, quello dei ribelli della Colombia e del Salvador e persino al Fronte Polinesiano.

Il secondo elemento che riteniamo opportuno sottolineare è relativo alla stesura del Libro bianco che fu pubblicato nel gennaio del 1985 dal Dipartimento di Stato americano sulle operazioni di eversione e di destabilizzazione della Libi sia nei paesi europei che in quelli extraeuropei. A tale proposito pensiamo che nell’ottobre del 1985 Gheddafi difese le azioni terroristiche di Abu Nidal contro il nazionalismo sionista e che nel 1980 Gheddafi tentò di destabilizzare la Tunisia con un colpo di Stato.

Ma certamente uno degli episodi maggiormente significativi — per le implicazioni internazionali — fu l’eliminazione degli oppositori nell’aprile del 1980 anno attraverso il comitato popolare per la eliminazione dei nemici della rivoluzione attraverso il quale Gheddafi farà uccidere quattro commercianti a Roma, un giornalista e un avvocato a Londra, un ex diplomatico a Bonn, un ex ufficiale della polizia ad Atene ed il proprietario di un ristorante a Beirut. Infine in giugno verrà ucciso un altro libico a Milano. Complessivamente saranno circa dieci gli oppositori eliminati che verranno definiti da Gheddafi traditori. Iniziativa questa speculare a quella che fu posta in essere dal Mossad nel 72 dopo la strage di Monaco di Baviera.

Il terzo aspetto, ancora più significativo, è legato al fatto che sia il Sid del Gen. Vito Miceli che il Sismi del Gen. Giuseppe Santovito — anche attraverso la mediazione di Francesco Pazienza — erano in strettissimi rapporti con l’Intelligence libica come ebbe modo di dichiarare lo stesso capo dei servizi segreti libici Yuones Abulkasen Ali. Tuttavia, in merito alla stretta collaborazione fra l’intelligence libica e quella italiana, di estremo interesse risulta l’affermazione da parte del generale Ambrogio Viviani. Quest’ultimo affermò che dal 1970 al 1974 il compito dell’Italia era di salvare a tutti costi l’Eni e proprio per questo i servizi segreti italiani aiutarono il leader libico a sconfiggere gli oppositori al suo regime, a rifornirlo di armi e ad organizzare un servizio di Intelligence.

Il quarto elemento che vogliamo sottoporre all’attenzione dei lettori è relativo al massiccio investimento che Gheddafi farà in armamenti dal 1972 al 1984. Stiamo parlando di una cifra compresa fra i 400 e i 500.000 miliardi di lire. Guarda caso uno dei primi paesi che fornirà armi alla Libia sarà proprio l’Italia: soltanto negli anni 70 l’Italia venderà a Tripoli quattro Corvette missilistiche, 300 mezzi blindati di ogni tipo, 250 velivoli SF-260 per addestramento e antiguerriglia, 30 elicotteri, 20 aerei da trasporto G.222.

Allo stesso modo anche la Francia investirà massicciamente in armamenti fornendo 111 caccia Mirage, 12 Magister, 40 elicotteri, missili anticarro e missili antiaerei. Persino la Gran Bretagna venderà a Tripoli 240 mezzi blindati, una fregata, centinaia di cannoni, mortai e missili anticarro. Naturalmente, nel contesto della guerra fredda, sarà l’Urss a diventare — a partire dal 1974 — il maggiore fornitore di armi in Libia seguito dalla Cecoslovacchia.

Ritornando all’Italia, sarà opportuno ricordare che tra il ’60 e il ’70 il nostro paese sarà il primo partner commerciale in Africa per quanto riguarda la Libia. A dimostrazione di quanto fossero buoni rapporti con la Libia pensiamo al fatto che nel settembre del 1972 fu siglata una joint-venture su base paritetica tra la Libia e la nostra compagnia petrolifera Eni e la Snam  che realizzò a Tripoli la prima grande raffineria libica con una capacità di 2milioni di tonnellate. Certamente fra gli accordi maggiormente rilevanti vi sarà quello siglato nel febbraio del 1974 tra il primo ministro libico Jallud e il presidente del consiglio italiano Mariano Rumor al quale seguirà un altro accordo nel settembre del 1974 tra il governo di Tripoli e l’Agip.

Un altro accordo di grande rilevanza dal punto di vista economico sarà quello siglato nel febbraio del 1975 quando verrà affidato alla Snam l’incarico di costruire a Tobruk una raffineria con una capacità di lavorazione di 10 milioni di tonnellate di greggio annue. Proprio negli anni 70 le nostre imprese edilizie costruiranno case, fognature e impianti di depurazione al punto che a metà degli anni 70 la Libia diventerà per l’Italia un paese fondamentale per gli investimenti. E a tale proposito come dimenticare che nel dicembre del 1976 proprio Gheddafi acquisterà il 10% delle azioni della Fiat versando alla società torinese 415 milioni di dollari, versamento questo che sarà salutato con soddisfazione dal presidente della Fiat?

Sotto il profilo storico è indubbio che fra coloro che costruirono nel contesto della politica estera italiana ottimi rapporti con Gheddafi il democristiano Giulio Andreotti avrà un ruolo decisivo a partire dal 1978 quando sarà a guida del nostro governo. Proprio a novembre del 1978 Andreotti si recherà in visita a Tripoli dove riuscirà a consolidare i rapporti diplomatici ed economici fra l’Italia e la Libia.

Nonostante i rapporti fra Italia e Libia siano sempre stati caratterizzati da alti e bassi — soprattutto negli anni 80 — nel gennaio del 1981 il ministro del commercio con l’estero Manca si recherà a Tripoli per cogliere un’ottima occasione di investimento per l’Italia: la Libia infatti stava per varare il nuovo piano quinquennale che prevedeva investimenti per 500.000 miliardi di lire. Proprio il 1981 sarà l’anno record per gli affari italiani con la Libia: Tripoli infatti importerà merci dall’Italia per un valore di 4800 miliardi.

Nonostante le fortissime tensioni in relazione al terrorismo internazionale nel 1985 verrà firmato un importantissimo contratto con Tripoli con Italiaimpianti e Italsider per un valore di 300 miliardi di lire con lo scopo di realizzare il sistema centralizzato di gestione, manutenzione e produzione dello stabilimento siderurgico di Misurata.

A partire dal 1992 e fino al 1997 saranno costruiti rapporti bilaterali tra il Vaticano e Libia che culmineranno il 10 marzo del 97 quando il portavoce del Vaticano Joaquín Navarro Valls riconoscerà ufficialmente la Libia.

Quando l’embargo nei confronti della Libia sarà superato anche grazie al presidente della commissione europea Romano Prodi, le forniture militari da parte dell’Italia e dei paesi Unione europea riprenderanno. A tale proposito è significativo il fatto che il presidente francese Nicolas Sarkozy, dopo aver invitato a Parigi Gheddafi nel dicembre del 2007, firmerà un memorandum d’intesa con la Libia non solo per la fornitura di reattori nucleari finalizzati ad alimentare gli impianti di desalinizzazione ma anche per sostenere le attività di prospezione e sfruttamento dei giacimenti di uranio presenti nel sud della Libia. Ma questo memorandum di intesa sarà anche l’occasione per porre in essere una cooperazione in ambito militare per un ammontare di circa 5 miliardi di euro.

Un’altra tappa significativa sarà quella compiuta dal presidente del consiglio Massimo D’Alema nel 1999: ancora una volta l’Italia approfitterà del piano quinquennale libico che prevedeva un investimento di 25.000 miliardi per costruire il gasdotto Wafa-Melitah-Capo Passero che convoglierà in Italia 8 miliardi di metri cubi di metano all’anno.

Vediamo adesso di trarre le somme da questa sommaria rassegna dei rapporti di cooperazione tra Italia e Libia.

Come hanno opportunamente osservato gli autori del volume (“Gheddafi. I volti del potere”, Carocci editore, 2011) e cioè Massimiliano Cricco e Federico Cresti: “Il regime di Tripoli è uno dei governi più dispotici del mondo arabo, dove per ben 41 anni Gheddafi ha monopolizzato tutte le principali decisioni nel campo della politica interna, estera ed economica del paese. Sempre riguardo al deficit democratico libico, non vi è una reale partecipazione politica; i partiti sono messi al bando ed è impossibile per l’opposizione organizzarsi all’interno della Libia, in quanto i suoi principali esponenti non hanno libertà di parola o di stampa e sono imprigionati sotto l’accusa di minare le basi della società libica. Per quanto riguarda i diritti umani, infine, il sistema giudiziario manca del requisito dell’indipendenza del regime, ed è sovente utilizzato dal leader per sbarazzarsi dei propri nemici politici“. (pag.104).

In prima battuta è difficile negare, sotto il profilo storico, che una situazione di questo genere sia presente in larga parte sia nei paesi arabi che nei paesi africani a cominciare dall’Egitto di Al-Sisi. Stando dunque ai difensori dei diritti umani di ieri come di oggi — per non parlare dei sostenitori del pacifismo irenico — l’Italia come tutti i paesi europei avrebbe dovuto sospendere — ieri come oggi — ogni tipo di collaborazione con tutti i paesi sia dell’area mediorientale che di quella africana.

In secondo luogo il 22 dicembre la Commissione Esteri della Camera dei Deputati ha approvato una risoluzione proposta da Yana Chiara Ehm (M5S) e Lia Quartapelle (Pd) che invita nuovamente il governo a rinnovare e ampliare lo stop alla esportazione di armi all’Arabia Saudita ma anche agli altri stati coinvolti nel conflitto nello Yemen (cioè quelli appartenenti alla Lega Araba, inclusi Egitto ed Emirati Arabi Uniti) interrompendo anche le licenze di export già autorizzate.

Se dunque il nostro paese avesse adottato questo atteggiamento, per esempio nei confronti della Libia, quali ricadute avrebbe avuto tutto ciò a livello economico per il nostro paese? Quali altri paesi europei avrebbero tratto vantaggio dalla esclusione del nostro paese da qualsivoglia rapporto di tipo economico con un regime autoritario come quello libico?

Consentire che queste posizioni possono diventare influenti a livello politico non solo costituisce una vera e propria minaccia per l’economia del nostro paese ma costituisce un vantaggio indiretto nei confronti di altri paesi europei concorrenti come per esempio la Francia che sarebbero ben lieti se l’Italia interrompesse qualsiasi rapporto di collaborazione con l’Egitto.

Se infatti volessimo essere coerenti fino in fondo con i sacri valori e i sacri principi della democrazia e dei diritti umani, il nostro paese dovrebbe interrompere ogni rapporto economico — e quindi ogni rapporto di tipo diplomatico e politico — anche con la Cina e la Russia nazioni queste che certamente non possono dirsi rispettose della democrazia e dei diritti umani…

Un’ultima osservazione infine: all’interno delle nostre scuole — come di molti corsi di laurea — si sta ormai diffondendo un atteggiamento di intransigente fanatismo pacifista e moralistico che instilla nei nostri giovani la convinzione che l’esportazione di armi sia di per sé una violazione dei diritti umani e che avere rapporti di partneriato economico con paesi che non abbracciano i nostri valori democratici sia un vero e proprio crimine sia sul piano morale che sul piano giuridico. Non è difficile immaginare cosa accadrà quando le generazioni future andranno a rivestire ruoli prestigiosi all’interno di dicasteri delicati come quello degli esteri o della difesa. Difficile non immaginare il danno irreparabile che arrecheranno agli interessi del nostro paese.

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