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Xinjiang

Huawei, Zte e non solo. Come Erdogan ha spalancato la Turchia alle aziende della Cina

Il punto sulla presenza delle aziende cinesi come Huawei e Zte in Turchia e sui rapporti commerciali fra la Cina di Xi e la Turchia di Erdogan

“Erdogan sta trasformando la Turchia in un satellite cinese”.

Comincia evocando un titolo eloquente della rivista Foreign Policy la disanima dei rapporti tra Turchia e Cina compiuta dal Geopoltical Center (GC), sito italiano specializzato in affari esteri e nei temi della Difesa e della Sicurezza.

Un titolo che sarebbe apparso assurdo appena dieci anni fa, quando Erdogan fu tra le voci più alte a denunciare la condizione degli Uiguri, la minoranza musulmana cinese dello Xinjiang perseguitata dal regime di Pechino, senza esitare nemmeno a evocare la parola più cruda: genocidio.

NEL 2009 LA TURCHIA DENUNCIAVA A GRAN VOCE IL GENOCIDIO DEGLI UIGURI

Nel 2009 la Turchia, sottolinea il GC, era un porto sicuro per gli uiguri in fuga dalla madrepatria.

Ma nel 2016 è avvenuto un cambiamento repentino; le autorità turche estradano in Cina un attivista uiguro molto famoso, Abdulkadir Yapcan, che viveva da tempo nel paese. L’anno successivo Turchia e Cina firmano un accordo di estradizione molto esteso, e da allora moltissimi uiguri residenti in Turchia sono stati arrestati e rimpatriati.

A PARTIRE DAL 2016 LA TURCHIA NON HA PIU’ PROTETTO GLI UIGURI

LA spiegazione del GC è molto chiara: “In un momento di grande difficoltà economica, la Cina ha offerto il proprio aiuto alla Turchia, e questo comporta automaticamente l’approvazione di Ankara alle azioni cinesi ed il silenzio davanti a certe pratiche per le quali Pechino non tollera intromissioni e contestazioni”.

Effettivamente, proprio a partire dal 2016 la collaborazione tra Cina e Turchia decolla e si espande esponenzialmente, al punto che nel giro di appena 4 anni sono stati firmati 10 accordi bilaterali.

IN APPENA 4 ANNI TURCHIA E CINA HANNO FIRMATO 10 ACCORDI BILATERALI

Attualmente la Cina si posiziona come il secondo più grande importatore di prodotti turchi dopo la Russia, con un  volume di scambi commerciali che nel 2018 si è assestato intorno a 23 miliardi di dollari, di cui 20 miliardi di importazioni da parte della Cina. Un deficit abissale di ben 17 miliardi di cui la Turchia è il grande beneficiario.

23 MILIARDI L’INTERSCAMBIO COMMERCIALE, DI CUI 20 DI IMPORTAZIONI DALLA CINA

I rapporti si sono poi consolidati anche in termini di investimenti. Numerosi imprenditori cinesi hanno investito in Turchia circa 3 miliardi di dollari soprattutto in infrastrutture nel periodo 2016-2018, con una somma che dovrebbe raddoppiare entro la fine del 2020.

Nel 2018 la Cina ha proclamato “l’anno del turismo turco”, esortando i propri cittadini a visitare la Turchia, Il risultato sono stati i quasi 400.000 turisti cinesi che hanno risposto all’appello, che hanno fatto registrare un aumento del flusso turistico del 60% rispetto all’anno precedente: un trend che sarebbe dovuto continuare quest’anno se non si fosse messa di mezzo la pandemia.

Ma la Cina sa bene quali sono le tecniche più efficace per aiutare i paesi in difficoltà: quando il valore della lira turca è precipitato del 40% nel 2018 la Commercial Bank of China (di proprietà dello Stato) ha concesso alla Turchia prestiti per un valore di 3,6 miliardi di dollari, destinati a progetti energetici e nel campo dei trasporti.

LE BANCHE TURCHE HANNO PiU’ VOLTE AIUTATO L’ECONOMIA TURCA

L’anno scorso la Banca centrale cinese intervenne anche in condizioni assai meno critiche: semplicemente, Erdogan aveva perso le elezioni municipali e la Banca decise di trasferire alla consorella turca 1 miliardo di dollari in contanti.

Quando, nel corso di questa annata tragica, l’economia turca già in recessione è stata ulteriormente azzoppata dalla crisi pandemica, la Cina ha subito deciso come aiutare il nuovo partner: a partire da giugno le compagnie turche sono state autorizzate ad usare la valuta cinese per le transazioni commerciali, consentendo loro un più agevole accesso alla liquidità cinese.

A PARTIRE DA GIUGNO LE SOCIETA’ TURCHE SONO STATE AUTORIZZATE AD USARE LA VALUTA CINESE

E poi ci sono le telecomunicazioni, quelle che hanno visto gli Usa creare problemi in mezzo mondo per ostacolare l’ascesa di Huawei, Ma in Turchia il colosso cinese è diventato un player d’eccezione, con una quota di mercato passata dal 3% nel 2017 al 30% nel 2019.

IN CINA OPERANO INCONTRASTATI E CON GRANDE SUCCESSSO HUAWEI E ZTE

E ad operare in Turchia è anche un’altra bestia nera della Casa Bianca, ZTE, che ha acquisito il 48% delle quote di Netas, il più importante produttore turco di hardware nel campo delle telecomunicazioni, il quale si sta occupando tra l’altro delle installazioni presso il nuovo aeroporto di Istanbul e della digitalizzazione della banca dati nazionale del ministero della sanità.

Finita la rassegna delle relazioni economiche turco-cinesi, il GC si chiede naturalmente da dove venga tanta generosità da parte cinese. La risposta ha un nome ben preciso e si chiama Belt and Road Initiative, che vede nella Turchia uno dei suoi punti nevralgici.

LA GENEROSITA’ CINESE SI SPIEGA CON LA POSIZIONE STRATEGICA DELLA TURCHIA NELLA BRI

La Turchia ha già completato la ferrovia che collega l’est del paese con Baku, in Azerbaijan, dove si connette a sua volta al sistema di trasporti che parte dalla Cina.

A gennaio di quest’anno un consorzio cinese ha acquisito il 51% delle quote del ponte Yavuz Sultan Selim che collega Europa ed Asia attraverso il Bosforo. Sempre quest’anno la China’s Export and Credit Insurance Corporation ha promesso alla Turchia fino a 5 miliardi per finanziare altri progetti legati alla Via della Seta.

I vantaggi della cooperazione italo-turca sono tangibili insomma da ambo le parti.

Erdogan, di fronte alla crisi che sta attanagliando il suo paese, non ha dovuto fare appello appello ai partner occidentali o ad istituzioni a guida americana, come il Fondo Monetario Internazionale, che richiederebbero serie riforme e cambiamenti che il Sultano non ha la minima intenzione di implementare.

Dal canto suo la Cina, come sottolinea il GC, “acquisisce una testa di ponte sul Mediterraneo (peraltro perfettamente collegata alla madrepatria da una moderna rete di trasporti) ed una capacità di proiezione di forza verso l’Europa e l’Africa”.

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