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Huawei

Huawei, ecco come prosegue la guerra tecnologica Usa-Cina

Il patron di Huawei, Ren Zhengfei, ha annunciato che l’azienda trasferirà dagli Usa al Canada il proprio centro di ricerca e sviluppo. Fatti e scenari nell'articolo di Marco Orioles

Negli ultimi giorni, le speranze che lo scontro frontale tra l’amministrazione Trump e la Cina sui commerci e sulla sfilza di dossier che separano la superpotenza n. 1 e 2 possa conoscere a breve una risoluzione si sono ridotte al lumicino.

Pesano come un macigno, anzitutto, le tensioni su Hong Kong, con gli Usa decisisi ad alzare la voce, nonché a prendere provvedimenti a favore del movimento pro-democrazia e in difesa dei diritti umani violati dalle autorità dell’ex colonia britannica, e Pechino più infastidita che mai per quelle che ritiene ingerenze inaccettabili da parte di Washington.

Come è stato osservato pochi giorni fa da alcuni economisti ascoltati da CNBC, il nodo di Hong Kong – e la niente affatto improbabile reazione stizzita della Repubblica Popolare – potrebbe far deragliare il treno del negoziato commerciale Usa-Cina e prorogare così sine die uno scontro che ormai da un anno mantiene in fibrillazione i mercati globali.

Ma non c’è solo il tema di Hong Kong a mantenere elettriche le relazioni tra Usa e Cina. Rimane in piedi, infatti, la questione di Huawei, il colosso cinese delle tlc che l’America cerca di affondare, onde negarle il primato mondiale sulle tecnologie 5G e scongiurare così il rischio che una tecnologia così sensibile sia gestita un po’ ovunque – Paesi alleati compresi – da un’azienda legata, secondo il sospetto americano, a doppio filo con il regime.

Fino a poco tempo fa era pensiero comune degli analisti e degli osservatori economici che la questione di Huawei sarebbe stata oggetto di un gentlement agreement tra Donald Trump e il suo collega cinese Xi. La previsione, o meglio l’auspicio, era che una volta risolto il principale contenzioso tra le due superpotenze, quello sui commerci, ci sarebbe stato spazio anche per un’intesa su Huawei.

Ebbene, questa speranza si sta affievolendo giorno dopo giorno, man mano che gli Usa non solo continuano a calcare la mano sul caso di Hong Kong, ma lasciano intuire – come ha fatto Trump appena poche ore fa – che potrebbero rimandare a dopo le elezioni presidenziali del 2020 la firma di un accordo onnicomprensivo con Pechino, mantenendo dunque in piedi sino ad allora i dazi sull’import cinese.

Chi sembra avere capito l’antifona è il patron di Huawei, Ren Zhengfei. Che ieri, in un’intervista rilasciata al quotidiano canadese Globe and Mail, ha annunciato che l’azienda trasferirà dagli Usa al Canada il proprio centro di ricerca e sviluppo.

Si tratta, per Huawei, di una decisione obbligata, ha fatto capire Ren, in quanto il ban introdotto dal governo americano impedisce ai dipendenti americani di Huawei di comunicare con le altre branche della società, e viceversa. “In base al bando”, ha spiegato Ren, “non possiamo comunicare via telefono, o mail, o contattare in qualsiasi forma i nostri dipendenti negli Stati Uniti”.

Non che la decisione dell’azienda arrivi come un fulmine a ciel sereno. L’antifona era chiara da mesi, vista la maretta tra amministrazione Trump e Pechino e la sfilza di provvedimenti presi dall’esecutivo a stelle e strisce, non ultima la decisione dello scorso maggio del Dipartimento del Commercio di includere Huwei in una entity list che nega di fatto la possibilità alle aziende hi tech americane di rifornire Huawei con i propri prodotti.

Fu l’equivalente di un atto di guerra che però, si disse allora, rappresentava anche il segnale inequivocabile della fermezza degli Usa in un negoziato, quello con Pechino, destinato secondo il calcolo di Washington a concludersi in un modo solo: con la resa di Pechino, e la conseguente firma di un deal.

Nel clima di incertezza di allora, incapace di sapere se il clash Usa-Cina sarebbe evoluto in guerra totale o si sarebbe chiuso con un compromesso, Ren prese i suoi provvedimenti, tagliando nel mese di giugno ben 600 posti di lavoro (su un totale di meno di 900) nel centro di ricerca Huawei di Santa Clara, nella Silicon Valley.

In questi cinque mesi, il negoziato commerciale Usa Cina è proceduto a corrente alternata, tra momenti in cui una firma sembrava dietro l’angolo e repentine chiusure. Per Huawei, è stato un po’ come stazionare sull’ottovolante.

A dispetto di questa pesante ipoteca, per Huawei gli ultimi mesi hanno portato anche non poco miele, sotto la forma dei governi di mezzo mondo che, snobbando le pressioni degli Usa, hanno deciso di affidare proprio al colosso di Shenzhen la realizzazione delle proprie infrastrutture nazionali del 5G.

Peccato che l’America, in questo momento, sembri aver esaurito la pazienza, ed essere pronta a rilanciare l’offensiva globale contro Huawei. È proprio questo, non a caso, uno dei temi in agenda del summit Nato che si sta celebrando in queste ore a Londra.

Ren, che non è uno stupido, ha fiutato l’aria e preso la sua decisione, predisponendo di fatto l’uscita di Huawei dagli Usa. Non si tratta, del resto, della prima mossa del capitano d’industria uscito dai ranghi dell’Esercito di Liberazione Popolare. In questi mesi infatti Huawei ha fatto i salti mortali per svincolarsi da Android e lanciare un nuovo sistema operativo per i propri smartphone, neutralizzando così almeno in parte l’offensiva degli Usa.

La guerra fredda tecnologica tra Usa e Cina insomma prosegue. In direzioni inesplorate, ma prosegue.

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