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Houthi, che farà l’Italia?

Italia anti houthi? Fatti, parole e ricostruzioni

“All’Italia (per ora) non è stato chiesto di intervenire, ma se fossimo chiamati a partecipare sarebbe nell’interesse della nazione farlo e senza esitazione”. E’ quello che ha scritto oggi nel suo editoriale su Libero Quotidiano il direttore Mario Sechi, già capo ufficio stampa a Palazzo Chigi con Giorgia Meloni e firma di punta del giornalismo vicino al centrodestra.

La questione sta tutta in effetti in quella parentesi: per ora. Infatti l’Italia non partecipa alla missione navale a guida americana e non ha firmato, assieme a Francia e Spagna, il documento che giustifica i raid promettendo nuovi attacchi.

La notizia è emersa ieri dall’agenzia di stampa Reuters, secondo cui l’Italia avrebbe rifiutato di prendere parte agli attacchi condotti da Usa e Regno Unito. Un’indiscrezione che poche ore dopo fonti di Palazzo Chigi hanno smentito in modo nettamente, sottolineando che «non è mai stato chiesto all’Italia di partecipare ad alcun attacco».

Poco dopo è intervenuta anche la Farnesina, direttamente con il ministro degli Esteri Antonio Tajani, il quale ha chiarito che «l’Italia non può partecipare ad azioni militari se non con previa autorizzazione del Parlamento», e sottolineato che «l’Italia ha una fregata nel Mar Rosso, e si è sempre schierata per tutelare la libertà della circolazione marittima contro i ribelli Houthi». (qui l’intervista recente di Start Magazine al presidente del Cesi, Andrea Margelletti, consigliere del ministro della Difesa, Guido Crosetto)

Nel governo aggiungono che l’Italia è stata informata con alcune ore d’anticipo dell’attacco, avendo una nave militare in zona, ma sottolineano che Roma non ha sottoscritto l’accordo siglato a dicembre dagli americani con alcuni Paesi europei (fra cui Danimarca, Germania e Gran Bretagna) per intervenire anche militarmente contro le azioni dei ribelli Houthi.

Anche fonti della nostra Difesa ieri hanno sottolineato che il caso è nato da un fraintendimento, rimarcando come l’Italia non possa partecipare ad azioni militari se non per legittima difesa, attraverso una risoluzione dell’Onu e in ogni caso sempre previo passaggio e autorizzazione del nostro Parlamento.

Anche per rassicurare tutti gli alleati, nella nota di Palazzo Chigi si legge: «L’Italia condanna con fermezza i ripetuti attacchi degli Houthi a danno di navi mercantili nel Mar Rosso e conferma il deciso sostegno al diritto di libera e sicura navigazione. A fronte del comportamento inaccettabile degli Houthi, l’Italia sostiene le operazioni dei Paesi alleati, che hanno il diritto di difendere le proprie imbarcazioni».

Ma nonostante ieri Palazzo Chigi abbia formalmente sostenuto che «non ci è mai stato chiesto di partecipare agli attacchi» – rivela il Corriere della sera – un documento diplomatico certifica quale sia stata in realtà la natura dei colloqui avvenuti tra il governo e le cancellerie alleate. “È un report trasmesso il 3 gennaio dall’ambasciata d’Italia a Londra alla Farnesina: «Strategia del Regno Unito nei confronti dell’Iran». E nel dispaccio si riferiscono informazioni confidenziali provenienti dal ministero degli Esteri britannico – scrive Francesco Verderami del quotidiano Rcs – Un intero paragrafo è dedicato alla crisi nel Mar Rosso provocata dai ribelli yemeniti, e «poiché gli ostacoli alla navigazione stanno continuando anche in presenza delle navi della coalizione internazionale», secondo il Foreign Office «si rende ora necessario adottare iniziative maggiormente incisive». Viene descritto un «intenso coordinamento» angloamericano, che ha come obiettivo «iniziative militari territorialmente limitate, mirate a mettere fuori gioco le postazioni degli Houthi da cui partono gli attacchi» contro il traffico mercantile nell’area. E viene esplicitato che «Londra auspicherebbe un attivo coinvolgimento dei partner, Italia inclusa, nelle operazioni necessarie»”.

“È la prova – rimarca il Corriere della sera – che Stati Uniti e Gran Bretagna hanno chiesto al governo il sostegno militare, e che «le consultazioni» di cui parlava ieri una fonte dell’amministrazione americana hanno coinvolto anche l’esecutivo italiano al più alto livello. L’intento era quello di convincere i partner sulla necessità di colpire insieme le basi missilistiche in Yemen, perché «è inaccettabile lasciare di fatto il controllo del Mar Rosso e del canale di Suez» ai ribelli sciiti e dunque all’Iran. Sebbene concordasse con gli alleati, il titolare della Difesa si è detto contrario all’azione militare: per Crosetto «sarebbe un errore aprire un altro fronte» di crisi mentre è in corso la guerra nella Striscia di Gaza”.

La stessa Meloni, durante la conferenza stampa del 4 gennaio, si è rivolta a Stati Uniti e Regno Unito quando ha sottolineato come «un’escalation del conflitto in Medio Oriente potrebbe avere conseguenze che io considero inimmaginabili». Così una settimana più tardi l’Italia non ha sottoscritto il comunicato congiunto nel quale si annunciava l’avvio di «operazioni cinetiche». E non era — è stato specificato — per «una forma di dissenso rispetto alla ferma condanna degli Houthi», ma per «l’impossibilità di partecipare ai joint strikes in coerenza con il nostro dettato costituzionale». “Una frase che testimonia quanto confermano più ministri, e cioè che «ogni passaggio del governo è stato concordato con il capo dello Stato». L’altro attore della vicenda”, chiosa il Corriere della sera, evocando il ruolo di Sergio Mattarella.

Ma «il nostro percorso – ha detto una fonte istituzionale a Verderami del Corriere della sera – in questo caso era obbligato». Per ragioni costituzionali, politiche. E anche militari. In Libano, dove operano i filoiraniani di Hezbollah, più di mille soldati italiani sono impegnati nella missione Unifil. Quando il 15 ottobre un razzo ha colpito il quartier generale di Naquora, Crosetto ha avvisato: «Se il nostro contingente fosse in pericolo decideremmo per il ritiro». Quel comando italiano così esposto è fonte di «preoccupazione». “Lo riconoscono nel governo, dove si attendono gli sviluppi dell’attacco anglo-americano in Yemen: «Se la crisi va oltre i due giorni, quella miccia è pericolosa»”, conclude il Corriere della sera.

Sullo sfondo, ma non troppo, anche la questione della dotazione militare appannaggio della Marina. Sono ancora fresche notizie e smentite sui soli 63 missili in dotazione alla Marina militare attualmente. Un numero che sarebbe stato indicato dallo stesso ministro della Difesa ad alcuni parlamentari in una recente audizione di Crosetto. Il titolare del dicastero della Difesa, oltre 24 ore dopo la pubblicazione dell’indiscrezione da parte del quotidiano Il Foglio, ha smentito la notizia, che però il quotidiano ha confermato.

Che siano più o meno 63, resta la questione: l’Italia è davvero in grado di essere all’altezza militarmente di far parte a tutti gli effetti della coalizione anti Houthi finora formata operativamente ed effettivamente solo dagli Stati Uniti e dall’Inghilterra?

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