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Imprese

Come Hong Kong e Covid rafforzano l’alleanza anglosassone anti-Cina

L'analisi di Donato Romano

 

Su iniziativa britannica, giovedì 28 maggio, i rappresentanti di Regno Unito, Australia, Canada e Stati Uniti hanno firmato un comunicato comune con cui attaccano la decisione della Repubblica Popolare Cinese di imporre a Hong Kong una nuova legge sulla sicurezza nazionale.

Il comunicato è stato firmato dal Segretario per gli Affari Esteri del Regno Unito, Dominic Raab, la Ministra degli Esteri australiana, Marise Payne, il ministro degli esteri canadese, François-Philippe Champagne, e dal Segretario di Stato degli Stati Uniti, Michael Pompeo.

Nel comunicato, i capi degli affari esteri dei rispettivi paesi si sono detti estremamente preoccupati per la decisione cinese, che sarebbe in diretto contrasto con gli obblighi assunti dalla Cina, ai sensi della dichiarazione comune sino-britannica, legalmente vincolante e registrata presso le Nazioni Unite (in particolare, il principio “One Country, Two Systems”, ossia riunificazione della Cina con Hong Kong, salvaguardando l’indipendenza di quest’ultima).

A detta dei firmatari, l’imposizione della legge in questione da parte direttamente delle autorità cinesi comporterebbe una limitazione alle libertà della popolazione di Hong Kong ed un’erosione drammatica dell’autonomia del sistema che ha reso Hong Kong uno dei paesi più prosperi del mondo. Potrebbe, inoltre, esacerbare le divisioni già esistenti in seno alla società di Hong Kong.

IL RAFFORZAMENTO DELL’ALLEANZA ANGLOSASSONE

Al di là delle motivazioni del caso in questione, la mossa comune dei quattro paesi anglosassoni appare significativa per altri aspetti.

Intanto, manca solo la Nuova Zelanda e il gruppo dei “five eyes”, ossia il gruppo di cooperazione delle intelligence dei cinque paesi, sarebbe completo.

Inoltre, dall’esplosione dell’emergenza del Coronavirus, sembra registrarsi una spinta verso un rafforzamento della cooperazione tra i summenzionati paesi anglofoni, derivante da un mutato atteggiamento nei confronti della Cina.

I rapporti tra i paesi sembravano essersi raffreddati: prima della rispettiva elezione, rispondendo ad una dichiarazione poco carina dell’allora candidato Trump su alcune aree a rischio di Londra, Boris Johnson (che a New York ci è anche nato) aveva dichiarato che non vorrebbe andare in alcune aree di New York proprio per evitare il rischio di incontrare Trump. Dopo le elezioni dello scorso dicembre e il trionfale risultato ottenuto contro i laburisti, Johnson aveva confermato l’intenzione di procedere con Huawei sul 5G, cosa veramente poco gradita all’amministrazione americana.

Anche il primo ministro canadese Justin Trudeau aveva più volte dimostrato freddezza – se non fastidio – nei confronti del potente vicino a stelle a strisce. Dal canto loro, l’Australia e Nuova Zelanda beneficiano enormemente dalle esportazioni di cibo e materie prime verso la Cina e apparivano poco propense a rischiare l’inimicizia del dragone.

L’emergenza Covid-19 sembra aver cambiato tutto.

La gestione poco trasparente dell’emergenza da parte della Cina ha scatenato un sentimento di preoccupazione nelle popolazioni dei paesi anglosassoni, che hanno poi visto tale preoccupazione confermata dall’aggressività con cui i funzionari del partito comunista cinese rispondevano ad ogni possibile rischi di critica da parte occidentale, si veda ad esempio l’espulsione dalla Cina dei più importanti quotidiani americani. Anche la parte più liberal dei media anglofoni ha cambiato atteggiamento, cominciando a vedere nella crescita della Cina un pericolo piuttosto che una speranza di benessere per il mondo.

Su iniziativa australiana, i paesi anglosassoni si erano già uniti nella richiesta di un’inchiesta indipendente sulle origini e sulla gestione del virus Covid-19 e sembra che vi siano le basi per un ulteriore rafforzamento di tali relazioni.

Un’ulteriore spinta potrebbe venire dalla definizione dei negoziati sulla Brexit: quanto più rapida sarà la Brexit, tanto più rapido sarà il negoziato per gli accordi commerciali di libero scambio tra Stati Uniti e Regno Unito. Nel frattempo, il Regno Unito sta anche negoziando un accordo di cooperazione e libero scambio con l’Australia.

LE INCOGNITE

Tuttavia, vi sono alcune incognite sulla prospettiva di tale rafforzamento della cooperazione tra i summenzionati paesi ed in particolare:

  1. le elezioni americane. La rielezione di Trump non sembra più un fatto assodato e occorrerà capire che atteggiamento avrà la possibile amministrazione Biden nei confronti della Cina e dei suoi tradizionali alleati, considerando che sarà fondamentale capire chi sarà la persona (sembra sarà una donna) candidata in ticket per la vice-presidenza;
  2. l’atteggiamento dei politici di area liberal. Assumendo una rielezione di Trump, il canadese Trudeau e la neozelandese Jacinta Ardern, ringalluzziti dagli straordinari risultati ottenuti dai loro paesi nel corso dell’attuale pandemia, potrebbero decidere di assumere una postura più confrontational nei confronti del potente cugino Yankee, al fine di poter essere riconosciuti come i veri leader delle forze liberal internazionali;
  3. la strategia delle due potenze europee, Germania e Francia. Al momento le due nazioni sembrano essere divenute sospettose nei confronti di Pechino (in maniera molto più netta in Germania che in Francia). Tuttavia, non si può escludere del tutto un ritorno, in futuro, della Francia alla sua tradizionale politica di affiancamento alle potenze “di terra” (Russia e Cina) per contrastare le potenze “di mare” (Gran Bretagna e Stati Uniti). Non si può escludere, pertanto, che tale strategia potrebbe comportare un ripensamento da parte anche dei paesi anglosassoni, anche per mera “fear of missing out” nei confronti del gigante asiatico.

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