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Hellzapoppin

Hellzapoppin e la nostra pazza crisi di governo

Il Bloc Notes di Michele Magno

Forse i meno giovani lo hanno visto o lo hanno sentito nominare. Parlo del film del regista americano Henry C. Potter Hellzapoppin (1941), crasi onomatopeica di tre parole: hell (“inferno”), zap (” colpire”), pop (“botto”, ma anche “popolare” come la cultura di massa). Ricordo in estrema sintesi la sua trama.

Durante un balletto ambientato all’inferno arriva un taxi da cui escono due tizi, Ole e Chic: dichiarano di essere lì solo in quanto protagonisti di un film e cominciano a raccontarlo a Selby, lo sceneggiatore. Interviene il regista che pretende l’inserimento di una storia d’amore: quella di Kitty, promessa a Woody, che in realtà ama Jeff; per questo Kitty trattiene Jeff con la scusa di mettere in scena uno spettacolo, intitolato appunto Hellzapoppin.

In realtà quella che vediamo è la storia del film che racconta questa storia, interrotta continuamente da una serie di gag del tutto assurde: un uomo deve recapitare una pianta a un’introvabile signora Jones e la pianta è ogni volta più grande (alla fine è un albero); una donna cerca disperatamente il suo Oscar; un detective cambia continuamente travestimento e identità fino a trasformarsi in un mago che divide in due Ole e Chic senza ricordare come si fa a rimetterli insieme; Betty, vivace e aggressiva amica di Kitty, dà una caccia serrata a Pepi, fantomatico principe russo, alquanto riluttante ad accettarla.

Ma, come dice uno dei protagonisti all’inizio, durante il grottesco balletto infernale: “Ricordati che siamo in un film” e a chi chiede “un intreccio”, replica: “Un intreccio? Ma questo è pazzo!” La love story tra Kitty e Jeff sembra andare all’aria quando un equivoco spinge Ole e Chic a credere che Kitty abbia una relazione con Pepi: i due fanno di tutto per impedire il matrimonio che prima volevano favorire e per mandare a monte lo spettacolo, ma in realtà saranno proprio tutte le operazioni di sabotaggio messe in opera a determinarne il successo.

Il film diventò rapidamente un cult movie, fino a rientrare nel linguaggio comune come sinonimo di guazzabuglio. Come ha scritto Giorgio Cremonini (Enciclopedia del cinema Treccani, 2004), lo si può considerare come una specie di bandiera del postmoderno ante litteram. Infatti, la prima caratteristica di questa farsa composita e imprevedibile è il miscelamento di generi diversi (comico, parodia, musical) e il continuo gioco di scambio dei meccanismi della finzione cinematografica, il continuo slittamento da un piano all’altro, dalla fiction (qui peraltro ridotta a pochi frammenti slegati) all’ostentazione quasi epica del “falso”.

Di fronte a ogni trucco, immagine, azione, sorpresa interviene qualcuno a dirci: “Questo è un film”. Non solo Ole e Chic parlano con il pubblico, ma anche con i loro doppi nel film che si gira nel film; se il proiezionista lascia cadere la pellicola, subito l’immagine va fuori quadro e i personaggi cercano invano di spingerla o tirarla in modo che vada a posto; e basta che due pellicole si sovrappongano perché nella non-storia di Hellzapoppin entri anche la creatura di Frankenstein o un film western. Le invenzioni nascono dallo spettacolo di Broadway, ma se ne liberano ben presto, sfruttando la specifica cinematograficità delle gag, così come effetti speciali ottici quali le sovrimpressioni o le sparizioni.

In realtà più che preparare il postmoderno, questo gioco irriverente e leggero risponde ad alcune caratteristiche fondamentali del comico, che da sempre ama strizzare l’occhio allo spettatore e cercarne la complicità. Più tardi lo riprenderà il Woody Allen di Provaci ancora, Sam (1972), Zelig e La rosa purpurea del Cairo (1985), nonché il genere comico demenziale che avrà la sua fioritura negli anni Ottanta.

Sarebbe inutile cercare qualche filo logico in questo accumulo frammentario di sequenze scollegate e rimandi metalinguistici: le gag hanno il solo scopo di interrompere continuamente il racconto, trasformandolo in una serie di scene che potrebbe anche proseguire all’infinito o essere proiettata cambiando l’ordine delle sequenze, come del resto accade quando al proiezionista nel film cade la bobina del film. Tutto il mondo di Hellzapoppin non è che un funambolico palcoscenico senza confini, in cui si mescolano gag, balletti, canzoni, inseguimenti, capitomboli, un caleidoscopio di suggestioni (love story, farsa, musical) e di occasioni puntualmente raccolte e immediatamente abbandonate per fare spazio ad altre invenzioni, altrettanto gratuite nel trionfo del nonsense. Il cinema rimane solo un meccanismo spettacolare mandato allegramente in pezzi, in modo che sia possibile riconoscerne il passato funzionamento (la retorica, i luoghi comuni, i trucchi), ma impossibile ricomporlo.

Chiedo ai lettori: Hellzapoppin non vi ricorda un po’ la nostra pazza crisi di governo?

 

 

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