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Guerra Usa-Cina, tutti i consigli del Dipartimento di Stato Usa per battere Pechino

I punti di debolezza della Cina e i consigli agli Stati Uniti per sconfiggere Pechino. Il documento del Dipartimento di Stato Usa analizzato da Giuseppe Gagliano

 

Il recente documento relativo alla Cina redatto dal Dipartimento di Stato americano è certamente rilevante per diverse ragioni: in primo luogo perché in esso viene ancora una volta illustrata una narrazione ideologica sostanzialmente bipolare del mondo analoga a quella formulata durante gli anni della guerra fredda in funzione antisovietica e più in generale funzione anticomunista; in secondo luogo perché, oltre a evidenziare esclusivamente le criticità e le vulnerabilità — di cui diremo — della Cina le alternative indicate dal Dipartimento di Stato sono ovviamente finalizzate a consolidare l’egemonia americana a livello globale attraverso un approccio non più unipolare come quello trumpiano ma multipolare approccio che tuttavia, al di là del lessico suggestivo, non modifica la sostanza del disegno egemonico degli Stati Uniti.

Infine, è assai verosimile che le indicazioni contenute in questo documento potrebbero essere le linee guida della nuova amministrazione americana.

Incominciamo dalle vulnerabilità indicate dal documento.

Secondo gli analisti del Dipartimento di Stato alcune delle vulnerabilità della Cina derivano dalla natura autocratica del suo regime politico. A causa delle loro ambizioni imperiali e del disprezzo per le norme e gli standard internazionali, le autocrazie sono inclini a estraniare alleati e partner.

In primo luogo, l’economia cinese deve affrontare notevoli difficoltà. Sebbene la Cina sia una potenza manifatturiera e tecnologica globale, il premier del Consiglio di Stato Li Keqiang ha ammesso nel maggio 2020 che ci sono ancora circa 600 milioni di persone che guadagnano un reddito medio o basso, o anche meno. Il loro reddito mensile è di appena 1.000 yuan (circa $ 142), neppure sufficiente per affittare una stanza in una città cinese di medio livello. La pandemia ha aggravato il problema aumentando la disoccupazione. Prima della crisi del Covid-19, inoltre, i disordini sociali nella RPC si sono diffusi poiché l’economia ha registrato il suo tasso di crescita più basso in 30 anni. La nuova realtà costringe il Pcc ad adottare misure più rigorose per controllare la popolazione.

In secondo luogo, la Cina soffre di un peggioramento delle condizioni demografiche. La dimensione della popolazione è sulla buona strada per raggiungere il picco nel prossimo decennio per poi diminuire gradualmente. A peggiorare le cose, Pechino sta per sperimentare un’esplosione di coloro che hanno 65 anni e più, mentre la sua popolazione in età lavorativa si riduce drasticamente. L’assenza in Cina di una moderna rete di sicurezza sociale imporrà tensioni mentre i lavoratori lottano per sostenere una popolazione di pensionati in costante crescita. Inoltre, come conseguenza della politica cinese del figlio unico — abolita nel 2016 ma con conseguenze che si riverbereranno per generazioni — la popolazione in età lavorativa subirà un prolungato squilibrio di genere (il censimento del 2010 riportava 120 maschi ogni 100 femmine).

Terzo aspetto affrontato: l’accelerato sviluppo economico della Cina ha gravemente degradato l’ambiente. La Rpc esiste da più di un decennio e rimane la principale fonte di emissioni di carbonio al mondo. L’inquinamento produce condizioni distopiche in molte delle principali città cinesi, riducendo al contempo la terra coltivabile e l’acqua pulita del paese. Di conseguenza, l’aspettativa di vita in Cina è diminuita. Un recente studio di Lancet ha rilevato che ogni anno 1,1 milioni di persone in Cina muoiono prematuramente a causa dell’inquinamento atmosferico.

In quarto luogo, la corruzione — a livello locale così come ai vertici del partito — crea rischi per il Pcc. Molti membri dell’élite si sono arricchiti a spese del popolo. Insieme alla crescita economica irregolare e ai problemi demografici e ambientali, la repressione e l’espropriazione della terra esacerbano il malcontento, provocando più di 130.000 proteste di vario tipo ogni anno. È probabile che tali proteste scuotano il sistema negli anni a venire

Quinto fattore: il PCC dedica notevoli risorse alla repressione delle minoranze etniche e religiose. In grave violazione dei principi stabiliti nella Dichiarazione universale dei diritti umani del 1948, il PCC mantiene un’occupazione militare del Tibet che risale agli anni ’50, conduce un brutale programma nello Xinjiang per “rieducare” gli uiguri e milioni di altri musulmani turchi , opprime gli etnici mongoli nella regione autonoma della Mongolia Interna cinese e impone norme onerose ai cristiani cinesi, che sono circa 70 milioni.

In sesto luogo, Pechino stanzia somme straordinarie per la sicurezza interna. La Rpc si riferisce a queste spese, che includono i costi del governo centrale e a livello regionale, come “spesa per la sicurezza interna nazionale”. Un’analisi open source suggerisce che la Cina indirizza circa il 18% in più alla sicurezza interna che alla difesa esterna. La spesa della RPC per la sicurezza interna nazionale è cresciuta da 348,6 miliardi di RMB ($ 57,2 miliardi) nel 2007 a 1,24 trilioni di RMB nel 2017 ($ 197 miliardi in valore nominale dollari).

Settimo punto: l’esercito cinese manca di legittimità popolare. Lo scopo del PLA è combattere per il Pcc, non per il popolo. Coerentemente con il motto di Mao, “il potere politico nasce dalla canna del fucile”, il partito presiede al processo decisionale militare. Tuttavia, con la modernizzazione dell’Elp, la convinzione ideologica all’interno dei ranghi è diminuita mentre la corruzione è aumentata. Xi ha cercato di ristabilire la fedeltà al partito – più specificamente, fedeltà alla sua persona – ripristinando l’addestramento ideologico obbligatorio ed eliminando i generali più anziani dei militari.

Ottavo fattore: il Pcc deve affrontare il grave problema sulla successione della leadership. L’incertezza circonda la persona che seguirà Xi Jinping come leader supremo della Cina. Le pratiche del partito sotto Xi si sono discostate dalle norme del Pcc per la successione alla leadership stabilite dopo Deng Xiaoping. Mentre in passato, il partito avrebbe dato qualche indicazione a questo punto del mandato del leader supremo riguardo al suo successore, quella domanda rimane sotto Xi avvolta nel mistero.

Nove: la condotta degli affari esteri della Cina genera sfiducia all’estero. Secondo un sondaggio del Pew Research Center dell’ottobre 2020, “le opinioni sulla Cina sono diventate più negative negli ultimi anni in molte economie avanzate e le opinioni sfavorevoli sono aumentate vertiginosamente nell’ultimo anno”. La pandemia globale ha amplificato il malcontento internazionale nei confronti della Rpc. Il nuovo coronavirus emerso a Wuhan alla fine del 2019 si è rapidamente diffuso a popoli e nazioni di tutto il mondo, in parte perché la Cina ha nascosto l’epidemia al mondo. Pechino ha ulteriormente danneggiato la sua reputazione attraverso la sua campagna internazionale di disinformazione e la sua diplomazia per sviare la responsabilità della pandemia. La vergognosa condotta del Pcc ha dato luogo a richieste internazionali di responsabilità sulla diffusione di Covid-19.

Alla luce di queste analisi qual è l’unica conclusione possibile alla quale giungono gli analisti del dipartimento di Stato?

Il Pcc affronta un classico dilemma tipico di un governo autoritario: più il partito impiega mezzi repressivi per perpetuare il suo monopolio sul potere statale, più rischia di creare un cuneo tra se stesso e il popolo. Allo stesso tempo, e anche se centinaia di milioni in Cina rimangono impantanati nella povertà, centinaia di milioni hanno raggiunto il benessere della classe media sotto il Pcc. Resta da vedere fino a che punto la realizzazione della crescita economica, la manipolazione dei sentimenti nazionalisti e la generazione di paura e sottomissione da parte di uno stato di sorveglianza totalitaria consentiranno al Pcc di mantenere la sua presa sul potere.

Resta anche da vedere in che misura il Pcc può affrontare efficacemente la varietà di vulnerabilità specifiche che la Cina deve affrontare. La disciplina e la spietatezza del partito gli hanno permesso di mobilitare vaste risorse e perseguire pazientemente la produzione di ricchezza in patria e l’acquisizione di potere e influenza all’estero. Allo stesso tempo, l’autoritarismo del Pcc, che sradica il dissenso, limita la capacità del partito di riconoscere le debolezze del regime, correggere gli errori e adattarsi alle mutevoli circostanze.

A questo punto diventa imperativo per gli Stati Uniti individuare gli strumenti necessari per riaffermare la propria egemonia a livello globale. Non a caso gli analisti del Dipartimento di Stato formulano un interessantissimo parallelismo sotto il profilo storico tra l’Urss al tempo della guerra fredda e la Cina attuale.

L’autoritarismo sovietico combinava comunismo e nazionalismo russo tradizionale con lo scopo di costruire un ordine socialista mondiale con Mosca al centro. Allo stesso modo, l’autoritarismo cinese combina il comunismo e un’interpretazione ipernazionalista del destino della Cina. La sintesi del Pcc governa la ricerca della Cina per costruire un ordine socialista mondiale con Pechino al centro.

È significativo che questo parallelismo possa agevolmente essere utilizzato anche per comprendere la logica di proiezione di potenza che ha caratterizzato gli Stati Uniti dalla fine della seconda guerra mondiale e, in particolare, dal Piano Marshall del 1947 alla realizzazione della Nato nel 1949.

Tuttavia, non sfugge agli analisti del dipartimento di Stato l’esistenza di una profonda differenza rispetto agli obiettivi egemonici perseguiti dall’Urss durante gli anni della guerra fredda. Infatti se l’Unione Sovietica ha principalmente ampliato i suoi domini e ha cercato di imporre la sua volontà attraverso la coercizione militare al contrario, la sfida della Cina non è in primo luogo sul piano militare. Anche se le capacità nucleari, informatiche e spaziali di Pechino rappresentano minacce sostanziali tuttavia la Cina persegue principalmente la riconfigurazione degli affari mondiali attraverso un tipo e una quantità di potere economico di cui i sovietici avrebbero potuto solo sognare.

Giunti a questo punto gli analisti del Dipartimento di Stato si pongono una domanda cruciale: come agire per contenere gli obiettivi di egemonia globale della Cina?

In primo luogo, gli Stati Uniti devono garantire la libertà a casa. La nazione deve preservare l’ordine costituzionale, che è fondato sul rispetto dei diritti individuali, dell’autogoverno democratico e della sovranità nazionale. La nazione deve anche promuovere un’economia basata su un mercato libero che premia il duro lavoro e l’imprenditorialità e garantisca pari opportunità, sia fornendo alloggi per coloro che sono stati più duramente colpiti dalle interruzioni della globalizzazione, sia escogitando incentivi per fornire alle persone la possibilità di prosperare in settori cruciali per la sicurezza degli Stati Uniti. E il paese deve coltivare una società civile vibrante che consenta alle persone di prendersi cura delle proprie famiglie, salvaguardare le proprie comunità e formare associazioni di ogni tipo. La fedeltà alle tradizioni americane di libertà individuale e autogoverno democratico produrrà prosperità e ripristinerà la concordia civica che è sempre stata essenziale per affrontare le sfide della nazione all’estero.

Il primo punto indicato dal Dipartimento di Stato più che costituire una soluzione concreta sembra essere uno stralcio di discorso tratto dalla propaganda elettorale del partito democratico. Ma passiamo al secondo aspetto.

Secondo il Dipartimento di Stato, gli Stati Uniti devono mantenere le forze armate più potenti, agili e tecnologicamente sofisticate del mondo, rafforzando nel contempo la cooperazione in materia di sicurezza, fondata su interessi comuni e responsabilità condivisa, con alleati e partner. Per amore della sicurezza e della prosperità, inoltre, gli Stati Uniti devono dedicarsi nuovamente a preservare il proprio status di leader mondiale nell’innovazione tecnologica. Poiché né la sicurezza né la prosperità possono essere raggiunte da un solo paese.

Cosa significa concretamente un’indicazione di questo genere? Significa che gli Stati Uniti dovranno avere il primato nell’ambito dell’industria militare, vendere i loro prodotti in Europa e nel mondo arabo; ma significa anche che la cooperazione di questi paesi dovrà consistere nell’acquistare questi prodotti — sia che servono sia che non servano — senza tante discussioni (vedi F-35). Ma significa anche che ,in un mondo multipolare, gli Stati Uniti da soli non sono in grado, realisticamente, di perseguire un’autentica egemonia ma possono farlo soltanto servendosi dei propri alleati. Non a caso gli Stati Uniti hanno nel corso di oltre cinquant’anni realizzato più di 800 infrastrutture militari a livello globale e non a caso la riconfigurazione di Africom va proprio nella direzione di riconfigurare la propria egemonia alla luce dei mutati equilibri .

In terzo luogo, gli Stati Uniti devono rafforzare l’ordine internazionale libero, aperto e basato su regole — che hanno guidato nella creazione dopo la seconda guerra mondiale — composto da stati nazionali sovrani e basato sul rispetto dei diritti umani e dello stato di diritto. Un tale ordine riflette i principi americani e serve gli interessi americani.

Il quarto punto è certamente interessante non solo perché gli Stati Uniti si presentano come difensori dei diritti umani — pensiamo sia detto con ironia alle cosiddette guerre umanitarie poste in essere recentemente proprio dagli Usa in Kosovo che hanno contribuito a destabilizzare l’area balcanica o alle innumerevoli destabilizzazioni politiche poste in essere dagli Stati Uniti durante la guerra fredda in America latina in Africa in funzione antisovietica certamente attuate in nome della libertà e della democrazia (sic!) — ma è interessante perché senza tanti giri di parola afferma che il mondo libero creato dagli Stati Uniti alla fine della seconda guerra mondiale deve essere salvaguardato soprattutto per consentire agli Stati Uniti di mantenere la propria egemonia a livello globale.

Passiamo al quinto punto.

Il fatto che la Cina sia il più pericoloso avversario degli Stati Uniti non pregiudica la possibilità di cooperare con esso ma nello stesso tempo, sottolineano gli analisti del Dipartimento di Stato, gli Stati Uniti devono sostenere coloro che in Cina promuovono la libertà (e che quindi possono direttamente o indirettamente avvantaggiare gli Usa).

Cosa significa realisticamente una tale affermazione? Significa che gli Stati Uniti devono finanziarie e supportare a livello logistico tutte quelle organizzazioni che a Hong Kong come a Taiwan vogliono indebolire il potere del partito comunista cinese. Stiamo insomma parlando di una vera e propria destabilizzazione che altro non è che una variante soft dei tradizionali colpi di Stato posti in essere dagli Stati Uniti durante la guerra fredda — come per esempio quello di Pinochet — in funzione antisovietica. A tale proposito consigliamo al lettore di leggersi un breve testo di Gene Sharp dal titolo “Come abbattere un regime” (chiare lettere, 2011) il principale teorico delle rivolte arabe.

Il sesto punto, nonostante la sua concinnitas, è altamente istruttivo: gli Stati Uniti devono impegnarsi con Pechino in modo cauto e creativo, contrastando il suo imperialismo economico. Tradotto in termini realistici significa che l’imperialismo cinese è nefasto mentre quello americano è positivo perché preserva la libertà dei mercati.

Ma è indubbiamente il settimo aspetto, sottolineato dal Dipartimento di Stato, che deve essere oggetto della nostra attenzione.

Gli Stati Uniti devono educare i cittadini americani sulla portata e sulle implicazioni della sfida cinese. Ci si può aspettare che solo una cittadinanza informata sostenga il complesso mix di politiche impegnative che consentiranno agli Stati Uniti di garantire la libertà. I funzionari del ramo esecutivo e i membri del Congresso devono rivolgersi al pubblico in modo regolare e diretto sulla condotta e le intenzioni della Cina e sulle politiche che il governo degli Stati Uniti deve attuare per garantire la libertà in patria e preservare l’ordine internazionale stabilito. Inoltre, il Dipartimento di Stato, il Congresso, i think tank e le organizzazioni del settore privato devono collaborare per garantire che i funzionari governativi e il pubblico abbiano accesso alle traduzioni in lingua inglese dei principali discorsi e scritti dei funzionari del Pcc insieme a importanti pubblicazioni e trasmissioni dai media statali cinesi, dalla comunità accademica e dalla macchina di propaganda mondiale.

Cosa significa sul piano strettamente pedagogico — perché di questo stiamo sostanzialmente parlando — questa indicazione apparentemente vaga e generica formulata dal Dipartimento di Stato? Significa concretamente che i giovani delle scuole superiori, come quelli del mondo universitario, dovranno essere educati ad un nuovo patriottismo anticinese per certi versi analogo a quello che fu posto in essere dagli Stati Uniti durante la seconda guerra mondiale in funzione antinazista e durante la guerra fredda in funzione antisovietica. Ma anche speculare — e ciò non sembri paradossale —al nazionalismo antiamericano che viene propagandato nelle istruzioni educative cinesi. A tale proposito sono ancora più significative — se è possibile — le considerazioni degli analisti in merito all’antipatriottismo che si manifesterebbe nelle scuole americane come nelle università e nei college. Tradotto: invece di diffamare e/o criticare gli Stati Uniti i docenti dovrebbero istruire e/educare gli studenti ad assumere una postura per così dire critica nei confronti della Cina.

Ebbene, si sta profilando una nuova guerra fredda a livello culturale come quella che fu attuata nei confronti dell’Urss?

A tale proposito mi permetto di dare ancora una volta un consiglio di lettura ai lettori di Startmag: alludo al saggio di Frances Stonor Saunders dal titolo “La guerra fredda culturale“ (Fazi, 2004).

Buona lettura!

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