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Siria

Tutte le conseguenze della guerra sulla politica della Russia in Medio Oriente. Report Ispi

Vista la strategia di isolamento economico e politico messa in atto dall'Occidente, la Russia potrebbe concentrarsi sul Medio Oriente e il Nord Africa. Un report dell'Ispi spiega dove e con quali conseguenze.

 

“La decisione del presidente russo Vladimir Putin di invadere il territorio ucraino ha conseguenze che si propagano ben oltre il paese ormai sotto assedio”, si legge nel focus sul Mediterraneo allargato curato da Valeria Talbot dell’ISPI. La marginalizzazione economica e politica della Russia messa in atto dall’Occidente porterà probabilmente a “un rafforzamento della politica russa in Medio Oriente e Nord Africa, regione in cui, probabilmente non a caso, la Russia di Putin da tempo investe ingenti risorse militari, economiche e diplomatiche”.

UNA SCELTA DIFFICILE

I governi della regione mediorientale e nordafricana si sono trovati a dover scegliere se unirsi alla campagna di pressione occidentale, con il rischio però di compromettere le relazioni con Mosca, oppure se “chiudere un occhio” con la Russia ma scontentare l’Occidente: “Europa e Stati Uniti sono partner storici e fondamentali per i paesi della regione”. L’eurozona rappresenta infatti il maggior partner commerciale per molti paesi dell’area. spiega il rapporto, soprattutto per il Maghreb; gli Stati Uniti, invece, nonostante la politica di disimpegno avviata da Barack Obama, rimangono importanti garanti di sicurezza.

“Allo stesso tempo, però, nell’ultimo ventennio, la maggior parte dei paesi della regione ha notevolmente espanso le relazioni diplomatiche, economiche, militari e commerciali con Mosca. Già ‘il primo Putin’ aveva chiarito l’obiettivo di far riemergere la Russia post-sovietica dall’isolamento internazionale degli anni Novanta, cominciando proprio da un rilancio delle relazioni con il Medio Oriente, che per Mosca costituisce il vicinato meridionale”: la stabilità della regione è ritenuta utile al mantenimento della sicurezza interna russa, specialmente nel Caucaso.

Il 2 marzo si è votato all’Assemblea generale delle Nazioni Unite per chiedere che la Russia “ritirasse immediatamente, completamente e incondizionatamente la totalità delle sue truppe dal territorio ucraino”. Su 193 stati, 141 hanno votato in favore della risoluzione, condannando dunque l’aggressione del Cremlino: fra questi c’erano Israele, Turchia e la maggior parte degli stati arabi. “Algeria, Iraq, Iran e Sudan, invece, si sono astenuti. Le ragioni per questa scelta potrebbero essere molteplici, ma sono sempre riconducibili a una necessità, da parte di questi governi, di non compromettere le relazioni bilaterali con il Cremlino”, spiega il report.

I RAPPORTI DELLA RUSSIA CON ALGERIA, IRAQ, IRAN E SUDAN

Oltre a una relazione storica e molto buona ai tempi dell’Unione Sovietica, l’Algeria ha oggi un rapporto stretto con Mosca, basato principalmente su cooperazione militare ed energetica.

Similmente, l’Iraq non sembra intenzionato a inimicarsi Mosca, con cui ha avviato una sostenuta cooperazione economica negli ultimi anni, principalmente in campo militare ed energetico. Ma le sanzioni occidentali alla Russia stanno complicando gli investimenti energetici russi in Iraq e le forniture di armi, e questo potrebbe avere un effetto sull’economia irachena.

L’Iran si è invece astenuto per paura di ritorsioni sul dossier nucleare: nell’ultimo anno è stata infatti Mosca a mediare fra Teheran e Washington e guidare le negoziazioni per la ripresa dell’accordo Jcpoa.

Il Sudan, infine – “paese cruciale per l’espansione di Mosca nel Corno d’Africa e nella Repubblica Centroafricana” -, costituisce da qualche anno un obiettivo strategico di primaria importanza per Mosca, tanto che si sta discutendo l’apertura di una base navale russa.

L’EGITTO

Molto legato alla Russia è anche l’Egitto, il quale – al di là dei rapporti economici e commerciali, in particolare sulle armi – “ha di fatto sposato la politica mediorientale di Putin, dando un ‘tacito endorsement’ tanto all’intervento in Siria quanto alle operazioni di Wagner in Libia.

Dal 2017 Il Cairo ha concesso ai russi di usare basi militari egiziane, anche come appoggio per le operazioni in Siria; nel 2018 i russi sono riusciti a portare a casa un accordo per la creazione di quella che sarebbe la prima base nucleare egiziana, nella città di El Dabaa. “Sebbene il Cairo abbia scelto, formalmente, di condannare l’aggressione russa e preservare dunque le relazioni con l’Occidente”, viene spiegato nel rapporto, “immediatamente dopo il voto all’Assemblea Generale ha invitato a considerare le preoccupazioni di Putin”.

LE CONSEGUENZE ECONOMICHE E ALIMENTARI

La guerra di Putin in Ucraina potrebbe avere, nella regione mediorientale e nordafricana, delle conseguenze sulla sicurezza alimentare e sui prezzi dell’energia. Fino ad ora non si sono ancora registrati grossi shock, si legge, ma “qualora il conflitto dovesse protrarsi nel tempo, gli impatti per la regione potrebbero essere significativi”.

Secondo stime della Fao, in Medio Oriente e in Nordafrica, già prima della pandemia da Covid-19, 55 milioni di persone su una popolazione di circa 456 milioni erano a rischio di insufficienza alimentare. Su questo quadro grava ora il peso delle forniture alimentari che arrivano proprio da Ucraina e Russia, fra i maggiori produttori di grano a livello mondiale e primi esportatori nei paesi della regione.

“Fatti i dovuti distinguo, poiché non tutti i paesi del Medio Oriente e Nord Africa sono ugualmente dipendenti dal grano ucraino o russo (l’Algeria, ad esempio, ne importa solo il 3%), basterebbe pensare a questi dati per rendersi conto dei rischi che alcuni di questi potrebbero correre: fra il 2019 e il 2021 l’Egitto ha importato l’85% del grano da Ucraina e Russia; Israele fra il 60% e il 70%; il Marocco circa il 35%; la Somalia addirittura il 100%; il Sudan il 75%; Tunisia, Libano ed Emirati Arabi Uniti circa la metà dell’approvvigionamento complessivo; e la Turchia circa il 78%”.

“Gli effetti di un aggravamento generale delle condizioni economiche sono incalcolabili”, scrivono gli esperti nel report curato dall’ISPI, “ma fra queste bisogna senz’altro considerare il rischio di nuove sommosse popolari, oltre che gli effetti su flussi migratori, terrorismo e traffici illeciti”.

LE CONSEGUENZE SULL’ENERGIA

L’Unione europea è alla ricerca di fornitori di petrolio e gas naturale per sostituire il prima possibile le forniture provenienti dalla Russia. “Per ragioni geografiche, i paesi del Nord Africa ma anche quelli del Medio Oriente rappresentano l’alternativa più immediata […]. L’Italia, ad esempio, fra i paesi maggiormente dipendenti dal gas russo che rappresenta il 42,5% delle nostre forniture totali, si è rivolta all’Algeria, durante la visita del primo ministro Mario Draghi (12 aprile 2022) Eni e Sonatrach, i rispettivi colossi dell’energia, hanno firmato un accordo per aumentare la fornitura di gas algerino all’Italia fino a 9 miliardi di metri cubi all’anno (Roma ne importa da Mosca circa 30 miliardi all’anno); il trasporto avverrà attraverso Transmed, il gasdotto che collega l’Algeria all’Italia passando per la Tunisia”.

Per quanto riguarda il gas, il Qatar potrebbe forse giocare un ruolo importante: il paese è uno dei maggiori esportatori di gas liquefatto al mondo ma “non gode di risorse infinite, e anzi sarebbe arrivato quasi al limite della propria capacità di export”.

COSA SUCCEDERÀ TRA LA RUSSIA E LA SIRIA

Secondo il report, bisogna aspettarsi “che la Russia di Putin consoliderà sempre più il legame con la Siria di Assad, fiore all’occhiello della politica mediorientale del Cremlino. Se si pensa a quanto Putin abbia investito in questo paese e nell’alleanza strategica proprio con la famiglia Assad – un’alleanza che nasce negli anni Settanta con la salita al potere di Hafiz al-Assad, padre dell’attuale presidente, e che dura pressoché intatta fino ai giorni nostri – appare chiaro che non mollerà la presa”.

La guerra in Siria, inoltre, è stata una sorta di laboratorio militare per i russi, dove ha testato tattiche replicate poi in Ucraina: “l’assedio di importanti centri urbani, alcuni dei quali letteralmente rasi al suolo; i bombardamenti mirati a infrastrutture civili come scuole e ospedali; i bombardamenti lungo le arterie stradali per impedire il transito dei profughi in fuga; l’instancabile macchina della disinformazione e della propaganda diffuse attraverso media russi e media locali; queste e altre azioni fanno parte di una strategia militare che la Russia persegue nel paese arabo dal 2015, sempre – è bene ricordarlo – con la benedizione del governo di Damasco”.

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