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Antisemitismo

Il Giorno della Memoria e la Banalità del Male

Pensieri utili nel Giorno della Memoria. Il Bloc Notes di Michele Magno

Ogni volta che la Terra Santa è teatro di un bagno di sangue, in taluni ambienti accademici e del “socialismo degli imbecilli” (copyright di August Bebel, 1893) scatta puntualmente l’ignobile equivalenza tra il genocidio nazista degli ebrei e la repressione israeliana dei palestinesi. Si tratta di una smaccata distorsione della verità storica, che non sempre viene contrastata con la necessaria decisione. Del resto, il pregiudizio antigiudaico affonda le sue radici in una millenaria tradizione. È così accaduto che indignati professionisti del pacifismo in qualche talk show televisivo, e tetri vignettisti dalla matita facile su qualche giornale, abbiano potuto gettare impunemente l’allarme sul disegno antico dei banchieri dal naso adunco di controllare il mondo, attingendo al vecchio paradigma vittimistico del falsificatori dei “Protocolli di Sion”.

Ma se ciò può essere considerato come un avvilente caso di miseria politica e culturale domestica, assai più inquietante è un fenomeno che rischia di prosperare anche a ovest di Allah. Mi riferisco a quel negazionismo secondo cui gli ebrei, le “false vittime” di ieri di un genocidio “inesistente”, sono i veri persecutori di oggi. Per i suoi teorici lo stato d’Israele è un’impostura, l’abusivo destinatario di una solidarietà deviata. La sua nascita e la sua esistenza si avvalgono quindi di un’indebita patente di legittimità morale, sono soltanto il frutto della cattiva coscienza dell’occidente. In questo delirio della ragione la Shoah diventa un “mito”, il sionismo l’avatar del complotto giudaico, il governo di Tel Aviv la sua intelligenza e il suo avamposto militare.

È sufficiente dare un’occhiata ai social e alle piazze di questi giorni per farsi un’idea del largo consenso di cui godono queste tesi aberranti. Il pericolo di un revival dell’antisemitismo in Europa (e in America) resta dunque assai serio. Ma il continente che ha visto sterminare “i più europei e meno nazionalisti dei suoi cittadini” (Amos Oz) non può pensare di riconciliarsi con il proprio passato e di progettare il proprio futuro come comunità di destino abbassando la guardia contro gli “assassini della memoria” (Pierre Vidal-Naquet).

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Nell’epilogo di “Eichman in Jerusalem. A Report on the Banality of Evil” (1963), Hannah Arendt si rivolge direttamente al funzionario nazista: “Tu ci hai narrato la tua storia, presentandola come quella di un uomo sfortunato […]. Ma anche supponendo che la sfortuna ti abbia trasformato in un involontario strumento dello sterminio, resta sempre il fatto che tu hai eseguito e perciò attivamente sostenuto una politica di sterminio. La politica non è un asilo: in politica obbedire e appoggiare sono la stessa cosa”.

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“Auschwitz è fuori di noi, ma è intorno a noi, è nell’aria. La peste si è spenta, ma l’infezione serpeggia: sarebbe sciocco negarlo” (Primo Levi, “L’asimmetria e la vita”. Scritti 1955-1987, Einaudi, 2002).

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“L’esperienza di cui siamo portatori noi superstiti dei Lager nazisti è estranea alle nuove generazioni dell’Occidente, e sempre più estranea si va facendo a mano a mano che passano gli anni. (…) Per noi parlare con i giovani è sempre più difficile. Lo percepiamo come un dovere, e insieme come un rischio: il rischio di apparire anacronistici, di non essere ascoltati. (…) È avvenuto, quindi può accadere di nuovo: questo è il nocciolo di quanto abbiamo da dire”.
(Primo Levi, “I sommersi e i salvati”, 1986)

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Questa poesia è l’esergo scelto da Primo Levi per il libro che lo ha reso celebre, “Se questo è un uomo” (1945-1947). “Shemà”, come si chiama la più importante preghiera ebraica, significa “Ascolta! Ascolta Israele”. Nella versione di Levi diventa una richiesta di ascolto rivolta ai non ebrei, forse a quelli del futuro, che si trasforma lentamente -sempre usando  lo stile e il lessico della preghiera ebraica- in una maledizione dai toni biblici.

SHEMÀ
Voi che vivete sicuri
Nelle vostre tiepide case
Voi che trovate tornando a sera
Il cibo caldo e visi amici:

Considerate se questo è un uomo,
Che lavora nel fango
Che non conosce pace
Che lotta per mezzo pane
Che muore per un sì o per un no.
Considerate se questa è una donna,
Senza capelli e senza nome
Senza più forza di ricordare
Vuoti gli occhi e freddo il grembo
Come una rana d’inverno.
Meditate che questo è stato:
Vi comando queste parole.
Scolpitele nel vostro cuore
Stando in casa andando per via,
Coricandovi alzandovi:
Ripetetele ai vostri figli.
O vi si sfaccia la casa,
La malattia vi impedisca,
I vostri nati torcano il viso da voi.

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